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Eritrea Etiopia Il corno D’Africa-1

Possedimenti Coloniali Mondiali 1881

Eritrea Etiopia storia Il corno D’Africa
Riassuntone di storia

L’origine dell’Impero Italiano: Genesi e Progressione

L’Impero coloniale italiano, il cui sorgere è innanzi tutto legato a un territorio di estensione modestissima, si manifesta come un fenomeno inesorabilmente destinato a espandersi nel corso del tempo.
Tale processo di espansione si delineerà attraverso una serie di tentativi, variamente riusciti, che si susseguono nell’avvicendarsi, di occasioni perdute e, soprattutto, di svariate sfaccettature diplomatiche.
Questo complesso intreccio tra diplomazia e fortuna, quest’ultima da considerarsi quale elemento imprescindibile, si rivela essenziale in un contesto in cui le grandi potenze mondiali, nell’atto di spartirsi le regioni globali, sono sovrapposti. nell’iniziale assegnazione dell’Africa.
Questo sfondo pone l’Italia in una posizione di relativa impossibilità economica, in quel momento, di confrontarsi alla pari con le potenze dominanti.
Tuttavia, è proprio attraverso un astuto gioco diplomatico e un certo grado di fortuna che l’Italia si rende capace di ritagliarsi un modesto spazio all’interno dell’ardente sole africano.

Nel discutere il caso delle prime colonie italiane, l’Eritrea e la Somalia, ci si imbatte in un’epoca specifica nel corso dell’umanità, identificata come l’era dell’imperialismo coloniale.

Si tratta di un periodo temporale sorprendentemente breve, approssimativamente compreso tra il 1880 e il 1913-1914, che segna un’epoca in cui le potenze europee si lanciano nell’ambiziosa impresa di suddividere tra loro tre continenti: Africa, Asia e, in una prospettiva più ampia, l’Oceania.
In questo esiguo lasso di tempo, le potenze europee riescono a estendere il proprio dominio su un vasto territorio, esercitando il controllo su innumerevoli popolazioni , nettamente superiori in numero a quelle all’interno dei confini europei, nonché su una vasta quantità di risorse.

 

Questo scorcio di storia trasforma l’Europa nel nucleo economico mondiale, caratterizzato da conquiste, saccheggi ed espansione.

Nel corso di questo periodo, l’Europa si raffigura pressoché come l’unico soggetto di rilievo, con l’intero mondo quale territorio vergine da subordinare ai propri interessi. Tuttavia, pochi Stati, in particolare la Cina e il Giappone, riusciranno a sottrarsi all’invasione predominante. anche se in ciò è possibile individuare un certo grado di fortuna, sebbene non possano sottrarsi alle volontà espresse dalle nazioni europee. Infatti, mantre questi Stati non vengono occupati, devono ugualmente adattarsi alle decisioni delle potenze europee.

È fondamentale notare che l’era dell’imperialismo colonialie non emerge dal nulla. È un fatto inequivocabile che nel 1880 gli imperi esistevano già e che l’Europa non si è mossa dall’immobilità per conquistare il mondo entro il 1913.

Le Origini dell’Impero Italiano: Il Processo di Espansione Coloniale

La crescita del Colonialismo fu una manifestazione che ebbe origine durante il Quindicesimo secolo.
A quel tempo, l’Impero Inglese era già saldamente radicato, e nel 1880, pur avendo perso le Tredici Colonie americane più di un secolo prima, deteneva comunque il dominio coloniale più esteso del mondo.
L’Impero Francese, seppur meno esteso, aveva iniziato il suo processo di espansione con l’occupazione dell’Algeria e successivamente della Tunisia.
Si annoveravano, altresì, due imperi ormai consolidati: quello Spagnolo, in fase di declino e già privo dell’America, e quello Portoghese, il quale manteneva una presenza limitata. In aggiunta, si segnalava il Belgio, che controllava il Congo e altre potenze coloniali minori.

Dall’anno 1880 in poi, si assistette a una trasformazione radicale della natura del controllo coloniale.

Inizialmente circoscritto ad alcune aree e porti strategici per il commercio, questo controllo prese gradualmente una forma politica ben definita. Le nazioni coloniali intrapresero una rapida suddivisione dell’Africa e dell’Asia, un fenomeno noto come “Scramble for Africa” o “Corsa all’Africa”. Questa divisione avvenne in maniera frenetica e impulsiva, creando una spartizione che si impresse nella storia come una lotta caotica per il controllo delle terre africane.

In questa cornice storica, l’Italia occupò una posizione alquanto problematica.

Nel 1880, nonostante fosse già considerata una delle grandi potenze europee dal punto di vista politico, economico e diplomatico, rimaneva indubbiamente una delle nazioni più impoverite. L’economia italiana era in una fase di crescita graduale, con un PIL che era appena un cinquantesimo di quello britannico. Questo divario era ulteriormente evidenziato dalla struttura economica del paese, in cui l’industria coinvolgeva appena il 18% della popolazione, mentre la maggioranza era concentrata nell’agricoltura. Si notava una mancanza di volontà politica in diversi partiti italiani nel perseguire una politica coloniale. Alcuni politici sostennero che l’Italia non avrebbe dovuto investire in colonie, citando la già esistente “colonizzazione interna” rappresentata dal Sud Italia, economicamente svantaggiato rispetto al Nord.

Nonostante queste circostanze sfavorevoli, alcuni gruppi e movimenti in Italia si stavano da tempo interessando alle colonie.

Già nei primi anni successivi all’Unità d’Italia del 1861, si svilupparono dibattiti su questa tematica.
Società private e imprese italiane vedevano vantaggi economici nell’acquisizione di colonie, sia come importanti scali commerciali per il commercio globale specialmente dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869, sia come fonti di risorse da sfruttare per l’industria italiana.
Tuttavia, a livello politico, queste considerazioni erano ancora piuttosto latenti, data l’instabilità delle alleanze e la difficoltà di coinvolgimento in progetti coloniali.
Quindi , il contesto in cui l’Impero Italiano iniziò a emergere come entità coloniale fu estremamente complesso e sfaccettato. Mentre alcune voci in Italia già discutevano l’idea della colonizzazione, la nazione affrontava sfide economiche, politiche e diplomatiche che rallentavano l’espansione coloniale.

Proposte di Espansione Coloniale Italiana: Considerazioni e Opportunità

All’epoca, si manifestarono varie proposte riguardo all’espansione coloniale italiana. Si ventilò l’idea di acquistare le Antille Danesi, un gruppo di piccole isole nell’America Centrale, per stabilire una colonia penale. Tuttavia, tale idea non si concretizzò. Altri suggerirono la conquista di tratti di Nord Africa, come la Tunisia. La Libia, di cui parleremo successivamente, fu un altro ambito di discussione. Alcuni andarono addirittura oltre, proponendo l’espansione in territori come il Congo in Africa centrale, e persino in Asia, come dimostrato dai sondaggi condotti per acquisire l’isola di Sumatra.

Complessità Politiche e Diplomatiche

Tali progetti riflettevano ambizioni di potenza che, però, l’Italia non poteva realisticamente affrontare. Le risorse necessarie per tali iniziative erano al di là delle possibilità economiche italiane dell’epoca. Tuttavia, alternative più praticabili erano disponibili. Il Nord Africa, in particolare, rappresentava un’opzione di accesso relativamente immediato per l’espansione coloniale. Situato appena oltre il Mediterraneo, il Nord Africa rivestiva notevole importanza per le grandi potenze europee.
La Francia, per esempio, occupò l’Algeria nel 1830 e successivamente la Tunisia nel 1881, allontanando le limitate aspirazioni di conquista italiane.

 

Eritrea
Possedimenti Coloniali Mondiali 1881

L’Offerta Inglese per l’Egitto

L’Inghilterra, nel timore di un possibile impatto sul Canale di Suez, conquistò l’Egitto nel 1881. In tal contesto, l’Inghilterra offrì all’Italia l’opportunità di partecipare a questa conquista, con la promessa di ottenere il controllo di porti egiziani sul Mar Rosso. L’Italia, tuttavia, declinò l’offerta e perse la possibilità di influenzare l’esito di questi eventiUn’altra opzione considerata fu la conquista della Libia, all’epoca parte dell’Impero Ottomano. Tuttavia, tale impresa avrebbe comportato non solo la lotta contro l’esercito ottomano, ma anche implicazioni diplomatiche che l’Italia, in quel momento, non aveva le risorse per affrontare. La Libia venne quindi accantonata.

Il Corno d’Africa: Terra di Interesse

Vi era, tuttavia, un’altra regione che attirava l’interesse italiano. Il Corno d’Africa, in particolare l’Africa Orientale, presentava opportunità più tangibili. Gli italiani avevano già svolto esplorazioni in questa zona, spinti da curiosità e dall’ambizione di scoprire nuove ricchezze. Questi viaggi esplorativi, che spesso erano iniziativa di privati e imprese italiane, avevano avvicinato l’Italia alle popolazioni locali e generato fascino per le terre da esplorare.
Inoltre, la presenza di potenze europee era ancora limitata in questa parte dell’Africa, aprendo la possibilità di stabilire un’effettiva influenza. Gli italiani si focalizzarono sul Corno d’Africa, una regione che includeva i territori dell’Etiopia, della Somalia, dell’Eritrea e di Gibuti. Nel 1880, gran parte di questo territorio era ancora in gran parte libero, con solo alcune basi europee in alcune aree.
In sintesi, sebbene l’Italia non fosse finanziariamente o diplomaticamente in grado di abbracciare ampie espansioni coloniali, il Corno d’Africa rappresentava un’opzione più concreta. Le esplorazioni dell’epoca avevano sensibilizzato gli italiani su questa regione, aprendo prospettive interessanti per futuri sviluppi colonia

‘Interesse Italiano nel Corno d’Africa: Creazione  L’Iniziale Timido Approccio Italiano a Assab

L’attenzione dell’Italia era già rivolta da tempo alla regione del Corno d’Africa, in particolare dal 1869. In quell’anno, l’Italia effettuò il suo primo tentativo di stabilire una colonia, seppur modesta, in una piccola baia che faceva parte del territorio egiziano dell’epoca. Questa baia, situata nell’attuale Eritea, prendeva il nome di Baia di Assab.

Un’Operazione Discreta: La Collaborazione tra la “Rubattino” e lo Stato

Tuttavia, l’Italia non desiderava presentarsi come una potenza coloniale, principalmente a causa delle limitazioni interne e delle preoccupazioni per le reazioni delle altre nazioni.
La situazione militare dell’Italia era ancora fragile e si temevano possibili conseguenze indesiderate. Pertanto, si optò per un’azione più discreta. Una società privata, la “Rubattino,” fu coinvolta in questa operazione. .e  l’esploratore Giuseppe Sapeto

Giuseppe Sapeto Eritrea
Giuseppe Sapeto

La Società Rubattino: Un Ruolo Chiave nella Storia Italiana

La società Rubattino è famosa nella storia italiana per vari motivi, come il suo coinvolgimento nella questione tunisina. Tuttavia, il suo ruolo è noto soprattutto per un evento inusuale: il furto, o meglio la consegna forzata, di due navi della Rubattino in cambio di un pagamento alle truppe di Garibaldi durante lo sbarco in Sicilia. La Rubattino, una società soggetta a fluttuazioni finanziarie estreme, aveva accumulato debiti considerevoli, parte dei quali era stata ripagata grazie alle navi utilizzate da Garibaldi.
Queste navi contribuirono anche all’apertura di nuove rotte, spesso finanziate dallo Stato italiano.
Per un certo periodo, la situazione finanziaria precaria della Rubattino consentì allo Stato di utilizzarla come una sorta di società pubblica, aiutando a coprire debiti e ad agire in modo discreto.

Il Primo Tentativo Italiano di Acquisire Assab

. L’esploratore Giuseppe Sapeto, che aveva già stabilito contatti con i leader locali, fu incaricato di gestire l’acquisizione della Baia di Assab.
Anche se questa zona faceva formalmente parte dell’Egitto, i signori locali operavano praticamente in modo autonomo, con scarso controllo da parte egiziana oltre al pagamento di un tributo.
Due sultani locali, i governanti della zona di Assab, accettarono l’offerta italiana di acquistare una porzione di terra di 6 km per 6 km, in cambio di un pagamento di 6000 talleri di Maria Teresa (equivalenti a circa 31.000 lire dell’epoca).

Tedros baia di Assab Eritrea
Baia Di Assab

Le Complicazioni del Trattato di Acquisto

Tuttavia, l’acquisto della Baia di Assab non fu privo di complicazioni. Le trattative comportarono ulteriori richieste di pagamento da parte dei sultani, e fu necessario l’intervento della Rubattino e dello Stato italiano per garantire i fondi necessari. Nel 1870, l’Italia completò l’acquisto e innalzò la bandiera italiana sulla baia.

Questa presenza italiana fu breve, poiché quattro giorni dopo l’arrivo delle navi italiane, le truppe egiziane giunsero ad Assab e scacciarono gli italiani, riprendendo il controllo. Questo episodio confermò le limitate capacità militari italiane e la difficoltà di stabilire una presenza duratura.

Il Ruolo Chiave dell’Inghilterra

La situazione internazionale ebbe un ruolo decisivo nel determinare la successiva conquista italiana di Assab. Nel 1882, l’Inghilterra, impegnata in problemi nel vicino Egitto, offrì il proprio supporto all’Italia per stabilire una colonia effettiva ad Assab. Gli inglesi, desiderosi di evitare un’espansione di altre potenze nel Corno d’Africa, fornirono un appoggio cruciale. Le truppe italiane sbarcarono ad Assab con il sostegno inglese e, questa volta, la colonia fu effettivamente consolidata.

Quindie, l’esperienza della Baia di Assab rappresentò un primo passo per l’espansione coloniale italiana nel Corno d’Africa. La dinamica delle trattative, le sfide e le opportunità mostrano il complesso panorama politico e geografico di quel periodo, ma vediamo meglio.

Eritrea baia di Assab
Baia di Assab

 

Influenza Inglese nella Nascita delle Colonie Italiane

L’inizio delle colonie italiane nel Corno d’Africa è stato fortemente influenzato dagli inglesi. Infatti, si potrebbe dire che il colonialismo italiano abbia in parte risentito dell’influenza del colonialismo inglese,
Gli inglesi avevano chiaramente indicato che spettava agli italiani governare quella regione e avevano persuaso gli egiziani a non intervenire. In breve, il primo nucleo coloniale italiano venne sviluppato anche grazie all’influenza inglese, al punto che alcuni considerano il colonialismo italiano come un’appendice del colonialismo inglese. L’Italia, forse, fu abile nel trarre vantaggio da questa situazione, e avrebbe continuato a farlo negli anni a venire.

L’Influenza Inglese nella Crescita Coloniale Italiana

Nel 1884, a seguito del massacro del generale Gordon a Khartoum, la Gran Bretagna perse il controllo del Sudan. Poiché gli inglesi temevano che la ribellione potesse diffondersi lungo la costa, proposero agli italiani di occupare un importante porto nella regione dell’Eritrea, ovvero la città di Massaua, nel 1885.
Utilizzando l’uccisione di un esploratore italiano di nome Gustavo Bianchi come pretesto, gli italiani sbarcarono con 800 soldati a Massaua.
Gli egiziani, su richiesta inglese, si ritirarono praticamente senza combattere, permettendo agli italiani di prendere il controllo della città. Nel corso dei mesi successivi, gli italiani espansero la colonia dalla Baia di Assab fino a Massaua, dando così vita alla cosiddetta Colonia Primigenia. Questa colonia venne chiamata Eritrea, un termine che fa riferimento al nome antico del Mar Rosso (“eritro” in greco significa “rosso”).

Il Primo Approccio Italiano alla Somalia Meridionale

Nel frattempo, un altro sviluppo stava avvenendo nella Somalia settentrionale. In quegli anni, la Germania stava iniziando a sondare la zona, e l’Inghilterra temeva che la Germania avrebbe potuto minacciare la rotta verso l’India. Per risolvere questa situazione, gli italiani furono nuovamente coinvolti.
Nel 1885, furono stabiliti contatti con il sultano di Zanzibar per cercare di ottenere il controllo dei porti strategici nella parte meridionale dell’attuale Somalia. Gli italiani, invece di cercare un controllo diretto, decisero di mascherare la loro presenza dietro a una società privata, proprio come avevano fatto in Eritrea. Nel 1886, la Compagnia Filonardi ottenne l’affitto di quel territorio dalla Somalia meridionale da parte di Zanzibar.
Anche nella parte settentrionale della Somalia, gli italiani riuscirono a stabilire una presenza con l’appoggio degli inglesi. Nel 1888 e nel 1889, due sultanati della Somalia settentrionale accettarono di diventare protettorati italiani. Questo accordo fu vantaggioso per entrambe le parti, poiché i sultani ottennero l’appoggio italiano in cambio di una sorta di autonomia politica ed economica.

 Eritrea zanzibar

La Creazione delle Prime Colonie Italiane in Africa: Le Radici

Così, nel 1891-1892, l’Italia aveva stabilito le sue prime colonie: l’Eritrea era una colonia relativamente piccola, mentre la Somalia iniziava a prendere forma. Tuttavia, queste colonie erano ancora lontane dall’essere stabilite come vere e proprie colonie italiane, e ci vorrebbero molti anni prima che ciò avvenisse.  Gi inglesi svolsero un ruolo significativo nelle prime fasi di espansione coloniale italiana nel Corno d’Africa. L’Inghilterra, spesso impegnata altrove, fornì supporto politico e strategico che permise all’Italia di stabilire le prime basi coloniali in quella regione. Questi primi insediamenti, benché spesso mascherati o affidati a società private, rappresentarono un passo fondamentale nel movimento coloniale italiano.

Dalla Conquista di Massaua all’Espansione Coloniale Italiana

Dal 1885, con la conquista di Massaua, l’Italia aveva esteso i suoi possedimenti oltre la Baia di Assab.Questo segnò un passo significativo nella sua strategia coloniale.
Massaua non era semplicemente un villaggio o un piccolo approdo, ma una città con un porto di grande importanza per il commercio locale.
Il governo italiano riuscì a presentare l’occupazione di Massaua come una mossa economica di grande rilevanza, sottolineando che da questa città passavano le merci provenienti sia dall’Etiopia che dal Sudan.
La conquista di Massaua , come detto sopra, fu in parte facilitata dalla mediazione inglese.  I In realtà, secondo alcune versioni, furono gli inglesi stessi a contattare l’Italia e a suggerire l’occupazione della città.

Il Ruolo Chiave della Mediazione Inglese

Nel 1884, le truppe inglesi furono costrette a ritirarsi dal Sudan a causa della ribellione del Mahdi, che successivamente si espanse lungo la costa. Questo comportava una minaccia diretta alle città portuali egiziane, che gli egiziani non erano in grado di mantenere sotto il loro controllo. L’Inghilterra temeva che Massaua potesse cadere nelle mani del Madi e diventare una città fortificata sotto il loro controllo o, peggio ancora, essere conquistata da un’altra potenza coloniale, come la Francia.
Per questo motivo, l’Inghilterra persuase l’Italia a condurre questa spedizione, che sarebbe stata molto diversa dalle spedizioni commerciali e diplomatiche precedenti.
Questa volta sarebbe stata un’occupazione militare.L’Inghilterra vedeva l’occupazione italiana di Massaua come un modo per prevenire scenari indesiderati.

Questa spedizione, diversamente dalle precedenti, non fu solo di carattere commerciale o diplomatico, ma implicò un’occupazione militare

La spedizione fu organizzata in modo affrettato, tanto che le truppe italiane che partirono dall’Italia in pieno inverno arrivarono a Massaua ancora vestite con le uniformi invernali.  Questo si rivelò un problema sotto il caldo africano.  
( A Massaua a dicembre si toccano 33 gradi di caldo umido e afoso, infatti la vita anche in inverno è prevalentemente notturna, le persone dormono sulle terrazze.
C’è da notare che per gli autoctoni queste temperature sono relativaamente fredde, infatti si possono incontrare persone  con maglioni dal collo alto e completi di lana  sia per questo, sia per a convinzione locale che “dove non passa il freddo non passa neppure il caldo”) .
Inoltre, il primo sbarco delle truppe fu segnato da problemi logistici, poiché le artiglierie che avrebbero dovuto proteggere le truppe erano ancora imballate sul fondo delle navi. Ciò ritardò l’utilizzo delle artiglierie nei giorni successivi allo sbarco.
Fortunatamente, la situazione si risolse relativamente bene: le forze egiziane, con l’avallo degli inglesi, abbandonarono la città e la consegnarono agli italiani. Nei mesi seguenti, l’Italia si concentrò sulla fortificazione dell’area  di Massaua lungo il Mar Rosso, rendendola la sua prima vera e propria colonia.

 

L’Espansione Coloniale Italiana: Dalla Conquista di Massaua all’Avvicinamento all’Altro Piano Etiopico

Il progresso coloniale italiano, avviato con la conquista di Massaua nel 1885, iniziò a prendere una direzione più concreta. Da una striscia di terra che si estendeva da Assab a Massaua, tracciando la costa del Mar Rosso, emerse la prima vera colonia italiana.

Discussione sulla Gestione della Colonia

Successivamente, a Roma iniziarono le discussioni sulla gestione e l’ulteriore sviluppo di questa colonia.
La presenza di un porto di rilevanza economica incalzò il governo a considerare opportunità di espansione, non solo dal punto di vista diplomatico ma anche militare.
Il Ministro degli Esteri Mancini propose inizialmente un’espansione verso nord, nella regione del Sudan.
La sua idea era che, poiché l’Inghilterra aveva interessi nel recuperare il Sudan, l’Italia potesse unirsi  in un’operazione congiunta per riconquistare il territorio e poi dividerlo tra le due nazioni. Tuttavia, questa proposta non fu ben accolta dagli inglesi, che compresero la complessità dell’impresa militare e desideravano riannettere il Sudan al loro impero coloniale.

Cambio di Approccio con Robilant

In seguito, con il cambio di governo e l’insediamento di Carlo Felice di Robilant come Ministro degli Esteri, l’approccio dell’Italia cambiò radicalmente. L’idea di espandere verso il Sudan fu abbandonata, e l’attenzione si rivolse verso l’altopiano etiope a ovest-sudovest.
L’Italia aveva già stabilito alcuni contatti con l’Impero Etiope attraverso missioni religiose ed esplorative. Questi contatti furono coltivati anche per motivi politici, specialmente da esploratori come Orazio Antinori, uno dei fondatori dell’Istituto Geografico Italiano, che aveva creato stazioni di comunicazione tra Italia ed Etiopia.

Eritrea
Carlo Felice Nicolis conte di Robilan

L’Imperatore Negus e la Dinastia di Salomone

 Questi esploratori accontarono che il paese aveva tradizionalmente un imperatore noto come Negus, o più precisamente, Neghesti (Negus Neghesti, re dei re ) .
 Secondo la leggenda , questo imperatore  vantava  di discendere dalla dinastia di re Salomone, o meglio, da Menelik, il figlio leggendario di Re Salomone e della Regina di Saba. Questa dinastia, naturalmente, affermava di essere di antica origine.
All’epoca, Giovanni IV , Ras del Tigray e  Negus Neghesti era il sovrano predominante; ma non esercitava un controllo diretto su tutto il territorio etiope.

 Eritrea Giovanni IV
Giovanni IV

Il Potente Negus Menelik nella Regione di Shoah

Alcune regioni dell’Etiopia godevano di un alto grado di autonomia e erano sotto il dominio di Negus locali. Tra questi, il più famoso e influente era Negus Menelik, che governava la regione di Shoah, situata nel cuore dell’Etiopia. Nonostante Giovanni IV fosse il sovrano nominale, il resto del paese era diviso in varie fazioni, ognuna guidata da un capo locale noto come Ras. Questi Ras comandavano numerose truppe e costituivano una parte essenziale delle forze armate dell’imperatore, riunendo le forze di vari territori sotto il loro comando.Quando gli italiani iniziarono la loro graduale espansione verso l’altopiano etiope, entrarono in contatto immediato con uno di questi Ras, il Ras Alula.

La Visione Sbagliata del Ministro degli Esteri  Carlo Felice Nicolis conte di Robilant

La prima fase dell’espansione italiana non fu molto organizzata, poiché inviarono poche truppe e rifornimenti limitati. Il loro avanzamento fu progressivo ma estremamente lento, caratterizzato dalla costruzione di piccoli forti per il controllo del territorio e dall’occupazione di villaggi. Questo lento avanzamento fu influenzato da vari fattori, tra cui la riluttanza dell’Italia a investire pesantemente nelle colonie, dato che era difficile convincere l’opinione pubblica e molti politici dell’importanza di tale espansione. Inoltre, il Ministro degli Esteri dell’epoca, Robilant, aveva una visione sbagliata, ritenendo che l’espansione verso l’Etiopia sarebbe stata una passeggiata, dato che i popoli etiopi non erano equipaggiati con armi moderne e mancavano di un’organizzazione militare adeguata.

 La Sottostima Iniziale dell’Impresa

Inizialmente, sembrava che l’impresa di conquistare l’Etiopia fosse considerata un compito semplice, descritto da Robilant con l’analogia di una lama calda nel burro. Al livello parlamentare, non c’era preoccupazione per l’idea che le forze italiane dovessero affrontare semplici “truppe di straccioni”. Questo atteggiamento minimizzava l’importanza dell’opposizione in Africa.

 La Realizzazione Smentisce le Aspettative

La realtà si rivelò molto diversa dalle aspettative iniziali. Il 14 gennaio 1887, una colonna italiana raggiunse il villaggio di Saati e stabilì un piccolo forte. Questa colonna era composta da circa 700 uomini, di cui 3-400 erano soldati italiani, mentre il resto era costituito dai Basci Buzuk , o “teste  matte”. I Basci Buzuk erano forze mercenarie con radici nell’Impero Ottomano, reclutate da varie regioni dell’Impero. Questi uomini erano originari di diverse etnie e avevano origini geografiche diverse.

 I Basci Buzuk e il Loro Ruolo

I Basci Buzuk, letteralmente “teste calde o dannaggiate”, avevano svolto compiti sia militari che di polizia durante l’Impero Ottomano. Quando gli italiani arrivarono a Massaua, gli egiziani ritirarono le loro truppe, ma i Baci Buzucche rimasero e furono assunti dagli italiani come forze locali. Tuttavia, il loro ruolo avrebbe una vita breve, poiché sarebbero stati gradualmente sostituiti da un corpo locale di eritrei noto come gli Ascari.

Eritrea
Basci Buzuk

La Sfida Inattesa a Sati

Il 14 gennaio 1887, quando il contingente italiano si stabilì a Saati, si trovò di fronte un esercito avversario nettamente superiore numericamente, composto da oltre 20.000 uomini, sotto il comando di Ras Alula. Quest’ultimo, il 24 gennaio, pose la città sotto assedio e il giorno successivo tentò un assalto, che però si concluse con pesanti perdite per le sue truppe senza riuscire a sfondare le mura del forte.

La Rottura dell’Assedio e la Battaglia di Dogali

A questo punto, Ras Alula ricevette notizia dell’arrivo di rinforzi italiani diretti a Saati, provenienti da Massaua. Rendendosi conto dell’impossibilità di assaltare una fortezza così ben difesa, decise invece di attaccare questi rinforzi. I 15.000 uomini di Ras Alula intercettarono le forze del Tenente Colonnello De Cristoforis, che contava circa 500-550 italiani nella zona di Dogali.
Quando gli italiani si trovarono di fronte questa schiacciante superiorità numerica, si fortificarono su una collinetta, sfruttando le poche mitragliatrici e pezzi di artiglieria a loro disposizione. Gli etiopi attaccarono letteralmente in ondate, e nonostante la prima ondata fosse respinta, le successive furono implacabili. A un certo punto, i rifornimenti di munizioni degli italiani si esaurirono, permettendo agli etiopi di sfondare le loro difese e uccidendo quasi 450-430 italiani, prendendone prigionieri quasi tutti gli altri.

 Eritrea Dogali

Le Conseguenze di Dogali

La battaglia di Dogali fu un disastro totale, con conseguenze significative. Innanzitutto, ebbe un impatto immediato a livello locale, poiché le forze italiane si ritirarono dopo la sconfitta. A Roma, il Ministro degli Esteri, di Robilant, fu costretto alle dimissioni a causa delle sue precedenti affermazioni dispregiative sugli etiopi . Inoltre, l’opinione pubblica reagì fortemente alla sconfitta, con l’intitolazione di strade e piazze a commemorare i soldati caduti a Dogali, come il Piazzale dei Cinquecento a Roma, che inizialmente ospitava un obelisco commemorativo, successivamente spostato.

Un Cambio di Rotta nei Progetti Coloniali

In effetti, la sconfitta subita nella battaglia di Dogali ebbe un impatto significativo sulla politica coloniale italiana. Questo evento segnò un punto di svolta, poiché l’Italia abbandonò la sua strategia di espansione lenta e adottò una risposta militare decisa. Tale cambiamento si rifletté anche nella gestione delle colonie, che passò dal Ministero degli Esteri al Ministero della Guerra.

 Le Difficoltà Organizzative degli Italiani

Tuttavia, gli italiani dimostrarono ancora una volta la loro incapacità organizzativa in questioni coloniali. Se avessero scelto una via diplomatica, l’invio di truppe sarebbe stata la peggior scelta possibile. D’altra parte, se avessero optato per l’opzione militare, avrebbero dovuto dispiegare un contingente significativo per affrontare con successo gli etiopi e conquistare l’altopiano.

L’Arrivo delle Forze Italiane e i Tentativi di Mediazione Infruttuosi

Gli italiani decisero di adottare una via intermedia e inviarono un contingente di 20.000 uomini sotto il comando del generale Arimondi, che sbarcarono a Massaua a metà del 1887. Nel frattempo, gli inglesi tentarono di negoziare un accordo tra Giovanni IV e gli italiani. Tuttavia, poiché gli italiani desideravano espandersi e Giovanni IV era riluttante a cedere i territori senza combattere, i negoziati non portarono a nulla.

 L’Inatteso Coinvolgimento del Sudan

Inaspettatamente, fu l’esercito del Sudan a cambiare la dinamica della situazione. Sebbene l’Italia fosse formalmente avversaria sia dell’Etiopia che del Sudan, è importante notare che neanche questi due stati avevano un rapporto particolarmente amichevole. Le forze del Mahdi, in particolare, avevano più volte varcato i confini etiopi, occupando e razziando villaggi, e in alcuni casi cercando di occupare città chiave del nord dell’Etiopia. Tuttavia, ogni tentativo era stato respinto.

 Antiche Rivalità e Motivazioni Storiche

Le truppe del Mahdi e gli Etiopi si scontravano con notevole difficoltà, alimentate da profonde motivazioni storiche. Queste popolazioni erano da sempre coinvolte in conflitti, sia per ragioni territoriali che religiose. Mentre gli Etiopi erano prevalentemente cristiani, nel Sudan prevaleva l’Islam, creando così tensioni religiose.

 

 Eritrea Ras Mangasha
Ras Mangasha

 La Mossa di Giovanni IV contro Gallabat

Nel marzo del 1889, Giovanni IV decise di rispondere agli sconfinamenti sudanesi, radunando le sue truppe per assediare Gallabat, una città precedentemente fortificata dai sudanesi. Tuttavia, l’assedio di Gallabat non ebbe successo per diverse ragioni, tra cui la disparità tecnologica tra le truppe etiopi e quelle del Mahdi. Anche se le truppe del Mahdi avevano acquisito armi catturate dagli inglesi, erano in generale meglio equipaggiate rispetto agli etiopi.

La Morte di Giovanni IV e la Successione Contestata

Nonostante diversi tentativi di sfondare le posizioni sudanesi, la situazione non migliorò. Giovanni IV fu ferito e morì, spezzando sostanzialmente il fronte etiope e costringendo i rimanenti Ras alla ritirata. La morte di Giovanni IV portò a una disputa sulla successione. Giovanni aveva annunciato pubblicamente che suo successore sarebbe stato Ras Mangasha, un suo figlio illegittimo riconosciuto. Tuttavia, questa decisione non fu accettata da tutti, soprattutto dal Negus dello Shoah, Menelik, che da tempo rivendicava il trono dell’Etiopia.

 

 regioni dell'Etiopia
Regioni dell’Etiopia

 L’Ascesa di Menelik e la Guerra Civile

Con l’esercito di Giovanni IV sciolto e i razze che tornavano alle loro regioni d’origine, Menelik colse l’opportunità per insorgere. Si auto-nominò imperatore d’Etiopia e prese il nome di Menelik II. Questo passaggio di potere scatenò una vera e propria guerra civile in Etiopia, con diverse fazioni che si schierarono, alcune con Menelik e altre contro di lui.

 L’Opportunismo Italiano e l’Espansione Coloniale

Gli italiani, sotto la guida del  Colonnello  Antonio Baldissera (che aveva preso il posto di Asinari di San Marzano tornato in Italia ), sfruttarono l’instabilità in Etiopia per espandere la loro presenza coloniale. Prima occuparono Asmara e Cheren, e successivamente cercarono di stabilire relazioni con diverse fazioni etiopi

Eritrea Baldissera
Colonnello Antonio Baldissera

 Il Trattato di Uccialli e le Sue Complicazioni

Durante questo periodo cruciale, Menelik, per rafforzare le sue pretese al trono etiope, firmò il Trattato di Uccialli nel maggio del 1889. Questo trattato divenne un punto cruciale nella politica coloniale italiana. In sostanza, il trattato prevedeva un reciproco riconoscimento: da un lato, l’Italia riconosceva Menelik come unico imperatore d’Etiopia e si offriva di supportarlo diplomaticamente, e dall’altro, Menelik riconosceva l’occupazione italiana dell’Eritrea, accettando che questi territori, compresa Asmara, non facevano più parte dell’Etiopia ma erano sotto l’influenza italiana.

 Eritrea Negus dello Shoah, Menelik,
Menelik

 L’Infame Articolo 17 del Trattato

Tuttavia, il Trattato di Uccialli portò anche a un grave attrito tra i due stati a causa di uno dei suoi articoli: l’infame articolo 17. Questo articolo era stato scritto in due lingue, italiano e amarico, ma le due versioni avevano frasi tradotte in modo diverso. Alcuni sospettarono che ciò fosse avvenuto deliberatamente per trarre vantaggio, mentre altri attribuirono l’errore a una semplice incomprensione nella traduzione.

 

 Eritrea Trattato di Uccialli
Trattato di Uccialli

Differenze

Nella versione italiana, l’articolo 17 sottolineava che l’Etiopia avrebbe dovuto fare affidamento sull’Italia per qualsiasi questione di politica estera, praticamente trasformando l’Etiopia in un protettorato che doveva gestire autonomamente gli affari interni, ma era legato all’Italia per le relazioni esterne. Nella versione amarica, invece, l’articolo lasciava intendere che gli etiopi potevano cercare il supporto italiano nelle loro relazioni esterne senza essere un vero e proprio protettorato. L’errore di traduzione fu chiaro quasi immediatamente, e già un anno dopo, quando l’Etiopia cercò di stipulare accordi con Francia e Russia, le relazioni tra Italia ed Etiopia si deteriorarono rapidamente.

Le Scaramucce e le Sconfitte

Nel frattempo, Menelik II consolidò il suo potere e, non avendo più bisogno dell’appoggio italiano, le relazioni tra i due stati persero d’importanza. Gli scontri diretti diminuirono, ma gli italiani subirono altre sconfitte, come nella battaglia di Saganeiti, dove un contingente di Ascari, comandati da ufficiali italiani, fu sorpreso e ucciso da un gruppo di irregolari etiopi. Questa sconfitta ebbe impatti significativi, anche se la maggior parte delle vittime erano Ascari, soldati locali al servizio dell’esercito italiano.

 Conflitto e Sfide nel Sudan

Negli anni successivi, l’attenzione italiana si rivolse principalmente al Sudan. Nel 1891, i sudanesi avevano intrapreso una serie di offensive contro le posizioni italiane, ma erano stati costantemente respinti. Nel 1893, fu invece l’Italia a intraprendere una campagna offensiva nel Sudan. In questa occasione, le truppe italiane si dimostrarono competenti affrontando le forze sudanesi nella battaglia di Agordat. Nonostante la disparità numerica a favore dei sudanesi, gli italiani riuscirono a vincere. Si narra che il successo sia stato attribuito alla decisione degli italiani di schierarsi non a quadrato, come era consuetudine contro le forze di cavalleria irregolare, ma lungo una linea di fucilieri, seguendo un approccio simile a quello delle guerre napoleoniche. Questo schieramento colse di sorpresa le forze sudanesi abituate a combattere contro i quadrati inglesi, e le respinse con pesanti perdite.

 Espansione e Nuovi Nodi Strategici

Dopo la vittoria ad Agordat, nel 1894 l’Italia occupò la città di Cassala, divenuta un nodo strategico fondamentale per il controllo del Nord. Questa espansione, tuttavia, richiese un notevole impegno e risorse.

 Il Crescendo di Tensioni con l’Etiopia

Mentre l’Italia si espandeva nel Sudan, i rapporti con l’Etiopia peggiorarono progressivamente. Forti delle nuove posizioni conquistate, gli italiani decisero di riprendere l’espansione verso l’interno dell’Etiopia. Tuttavia, l’Imperatore Menelik II si preparava ad accoglierli con risolutezza e fermezza. La tensione tra le due nazioni era ormai palpabile, e le azioni dell’Italia avrebbero presto portato a uno scontro inevitabile.

 

 Eritrea sudan

 L’Inizio dell’Espansione Coloniale Italiana in Africa Orientale

L’Italia, quindi,  aveva stabilito la sua presenza coloniale in Africa orientale, occupando l’Eritrea e la Somalia. Tuttavia, il Trattato di Uccialli, a causa di una confusione nella sua traduzione, aveva creato disaccordi interpretativi tra Italia ed Etiopia, generando tensioni crescenti tra le due nazioni e una serie di negoziati e manovre diplomatiche.

 La Costruzione di una Solida Presenza in Eritrea

Mentre la diplomazia politica si sviluppava, l’amministrazione coloniale italiana concentrava i suoi sforzi sull’edificazione di una forte presenza in Eritrea. Vennero intraprese iniziative per migliorare le infrastrutture e l’economia, oltre a riorganizzare le forze militari. Durante questo periodo, gli italiani costituirono gli “Ascari”, un corpo di soldati locali composti da eritrei ed etiopi. Benché guidati da ufficiali italiani, questi Ascari erano fortemente legati alla regione e divennero noti per il loro coraggio e la loro lealtà.

 Tensioni e Intrighi Politici

Le tensioni politiche si facevano sempre più intense. Gli italiani erano coinvolti in intrighi e manovre diplomatiche nel tentativo di influenzare gli attori chiave in Etiopia. Nel frattempo, Mangasha, un pretendente al trono etiope, cercò di destabilizzare la situazione finanziando rivolte contro gli italiani. Nel 1894, queste rivolte furono sedate dalle forze italiane e dagli Ascari.

 La Battaglia di Coatit e le ComplicazioniIl comandante italiano Oreste Baratieri riconobbe l’ingerenza di Mangasha e decise di affrontare direttamente questa minaccia. Organizzò un’offensiva contro le forze di Mangasha, ma ciò si rivelò una mossa problematica. Nella battaglia di Coatit, le truppe italiane e gli Ascari affrontarono una netta inferiorità numerica contro le forze di Mangasha. Nonostante il loro coraggio, gli italiani non riuscirono a respingere completamente le forze di Mangasha. Entrambi gli schieramenti subirono pesanti perdite, ma Mangasha sfuggì all’inseguimento italiano.

La Battaglia di Coatit
La Battaglia di Coatit

 L’Espansione nel Tigrè e le Tensioni con l’Etiopia

Questi eventi portarono all’espansione italiana nel Tigrè, una regione strategica confinante con l’Eritrea. Tuttavia, l’Italia operava con risorse limitate e numeri ridotti. L’escalation delle tensioni con l’Etiopia, guidata da Menelik II, avrebbe presto condotto a uno scontro militare epocale: la battaglia di Adua. Questo capitolo avrebbe profondamente influenzato la storia dell’Italia coloniale in Africa orientale.
Come abbiamio detto sopra nel Trattato dei Uccialli   il problema principale era la discrepanza tra le due traduzioni, una in italiano e l’altra in amarico. Nel testo italiano, si affermava chiaramente che ll’ Etiopia diventava un protettorato italiano e richiedeva comunicazioni estere attraverso l’Italia. Nella versione in amarico, invece, le cose erano meno definitive, consentendo all’Etiopia di utilizzare l’Italia per la sua diplomazia estera, ma manteneva una piena autonomia statale.Quando questa divergenza fu rilevata, come rea ovvio, le relazioni tra i due stati peggiorarono nuovamente.

Le Opzioni Italiane e la Confusione Diplomatica

Gli italiani avevano diverse opzioni, ma invece di sceglierne una, cercarono di perseguirle tutte. Alcuni politici e diplomatici tentarono di contattare Mangasha , cercando di supportarlo con aiuti finanziari e armi per riavviare la lotta contro Menelik. Altri suggerirono di stabilire un nuovo contatto con Menelik, cercando di far rispettare la nuova situazione. C’era anche chi riteneva che l’unica soluzione fosse l’uso della forza militare, occupando almeno una parte del territorio etiope per costringere Menelik a trattare. La parte proposta per l’occupazione era il cosiddetto Tigre, una regione confinante con l’Eritrea sotto il controllo italiano, ma che era anche in parte governata da Mangasha .

La Crescita della Colonia Eritre

Come spesso accadeva, gli italiani generarono una confusione diplomatica mentre affrontavano queste diverse opzioni. Nel frattempo, la colonia eritrea stava crescendo ed espandendosi sia economicamente, con l’arrivo di coloni italiani che costruivano edifici e sviluppavano le città, sia militarmente. Fin dall’occupazione italiana dell’Eritrea nel 1885, era chiaro che le sole truppe provenienti dall’Italia non sarebbero state sufficienti per espandere e mantenere la colonia in termini di stabilità.
Per questo motivo, all’inizio utilizzarono un corpo mercenario noto come i “Basci-Buzuk,” composto principalmente da soldati locali.

Riorganizzazione dei Basci-Buzuk e L’Origine degli Ascari

All’inizio, i Basci-Buzuk erano guerrieri provenienti da varie zone dell’Impero Ottomano, con Hasan, il loro capo, di origine albanese. Tuttavia, a partire dal 1887, si decise di integrare questi Basci-Buzuk direttamente nell’esercito italiano e di riorganizzarli. Questa riorganizzazione includette l’arruolamento di soldati provenienti dall’Eritrea, tra cui eritrei ed etiopi dalle regioni del Tigre e da varie tribù che avevano giurato fedeltà all’Italia. Il risultato fu la creazione di un nuovo corpo militare noto come gli “Ascari,” un termine derivato dall’arabo “ascari” che significa soldato.

L’Evoluzione degli Ascari

Gli Ascari, inizialmente truppe di supporto leggere, subirono un notevole sviluppo nel corso degli anni. Non solo aumentarono di numero, ma furono anche meglio equipaggiati e addestrati fino a diventare veri e propri corpi militari. Questi corpi militari avrebbero svolto un ruolo fondamentale per il Regno d’Italia fino alla Seconda Guerra Mondiale.

 Particolarità degli Ascari

Nonostante facessero parte delle forze armate, gli Ascaris presentavano alcune peculiarità. Ad esempio, molte fotografie dell’epoca li mostrano scalzi, un fatto spesso interpretato come segno di incapacità degli italiani nel fornire calzature. Tuttavia, in realtà, gli Ascari avevano il permesso di non indossare scarpe, poiché molti di loro preferivano camminare a piedi nudi, seguendo le loro tradizioni.

Inoltre, un’altra caratteristica distintiva era la possibilità per gli Ascaris di portare con sé le loro famiglie mentre erano in servizio, mantenendo così una struttura tribale. Sebbene ci fossero ufficiali italiani all’interno di questi corpi, si sviluppò anche una struttura di sottoufficiali che agiva come intermediari tra gli italiani e la truppa, spesso fungendo da traduttori. Questo contribuì a creare un forte senso di coesione tra gli Ascari, che spesso si dimostrarono tra i combattenti più feroci e fedeli al servizio dell’Italia. Alcuni eritrei servirono persino nei Carabinieri italiani.

La Battaglia di Adua: Una Sconfitta Schiacciante

La Battaglia di Adua, che ebbe luogo il 2 marzo 1896, rappresentò una disfatta decisiva per le forze italiane. Le truppe italiane furono sconfitte in modo schiacciante dalle forze etiopi, subendo gravi perdite umane e una pesante sconfitta per l’Italia.
Questo scontro segnò la fine dell’influenza italiana nella regione del Tigrai e confermò l’indipendenza dell’Etiopia. L’Italia fu costretta a ritirarsi e accettare il Trattato di Addis Abeba, riconoscendo la sovranità etiope. Le conseguenze di questa sconfitta furono di grande rilevanza politica e militare per l’Italia e lasciarono un’impronta indelebile nella storia delle relazioni tra Italia ed Etiopia.

Tedros Adua

Il Declino della Supposta Superiorità Italiana

La Battaglia di Adua fu un evento epocale che evidenziò chiaramente la profonda disorganizzazione e la carenza di risorse che avevano compromesso l’intero sforzo coloniale italiano. Questi problemi erano già emersi in fasi precedenti dell’espansione coloniale, ma diventarono evidenti in modo drammatico durante quella fatale battaglia.
Nelle prime fasi dell’espansione coloniale, sembrava che l’intera impresa fosse stata avviata senza una pianificazione adeguata, e nonostante alcuni successi occasionali, si rivelò una miscela incerta di trionfi e sconfitte. In particolare, la Battaglia di Adua rappresentò una svolta nella supposta superiorità tecnologica italiana. Fino a quel momento, questa superiorità aveva conferito un vantaggio tattico, ma ad Adua divenne evidente che non bastava. Gli etiopi, nel frattempo, avevano migliorato le proprie capacità tecnologiche e furono in grado di sfruttare appieno gli errori e le debolezze dell’esercito italiano. La sconfitta fu devastante, un disastro su scala epica.

Le Lezioni Apprese da Adua

Le conseguenze di questa sconfitta furono durature per l’Italia. Ci vollero molti anni per il paese per affrontare e superare le conseguenze di questa disfatta storica. La Battaglia di Adua rimane un momento cruciale che dimostrò che le ambizioni coloniali italiane richiedevano una pianificazione accurata, una leadership competente, e una comprensione approfondita delle realtà locali.

Il Tentativo Fallito di Conquistare l’Etiopia e le Conseguenze

La storia dell’Africa orientale italian è, quindi, segnata da un tentativo di conquistare l’Etiopia che si rivelò fallimentare e dalla successiva campagna militare che ebbe un impatto notevole dal punto di vista militare, ma non riuscì a mantenere il controllo a lungo termine.

Gli Anni ’30 e la Guerra d’Etiopia

Gli anni ’30 del XX secolo segnarono un periodo cruciale per l’Africa Orientale,, culminando con lo scoppio della guerra in Etiopia. Questo è un racconto che merita attenzione, poiché ci fornisce indizi preziosi per comprendere perché l’Italia si trovò impreparata economicamente e militarmente quando si avvicinò la Seconda Guerra Mondiale.

L’Importanza dell’Eritrea e della Somalia

Tra le colonie italiane dell’Africa Orientale, l’Eritrea emerge come una delle più significative. Sia nel periodo liberale prima della Prima Guerra Mondiale che sotto il regime fascista, l’Italia ha concentrato sforzi considerevoli per sviluppare l’Eritrea. Questo territorio è diventato una base essenziale dal punto di vista economico, con l’espansione delle infrastrutture ferroviarie, portuali e la costruzione di edifici monumentali. Non bisogna dimenticare che, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’Eritrea contava la presenza di ben 75.000 coloni italiani.
La Somalia, sebbene meno celebrata, ha anche avuto un ruolo importante in questa storia. Gli italiani hanno gradualmente consolidato il loro controllo sulla regione, riducendo le autonomie locali.
In conclusione, l’Africa Orientale italiana è stata teatro di sforzi significativi da parte dell’Italia per stabilire e mantenere il controllo coloniale. Questi eventi hanno plasmato in modo duraturo la storia della regione e hanno avuto un impatto significativo sugli eventi globali del XX secolo.

Una Situazione Instabile

La situazione nella regione rimase estremamente instabile, e il numero di coloni rimase relativamente basso, anche è stimato che nel 1939 ci fossero circa 3.500 coloni italiani in Eritrea. Questo numero era notevolmente limitato, e ci furono sforzi per aumentarlo. Tuttavia, rispetto alle aspettative, il numero rimase modesto. Le costruzioni di architettura fascista si concentrarono principalmente nella zona di Mogadiscio, e ci furono tentativi di coinvolgere la popolazione locale attraverso l’arruolamento nelle forze coloniali italiane, principalmente attraverso l’uso degli Ascari. Questi sforzi contribuirono a stabilire legami con alcune tribù locali.

Il Perseguimento della Conquista dell’Etiopia

La domanda principale che sorge è quando l’Italia iniziò a considerare seriamente una nuova conquista dell’Etiopia. In realtà, potremmo dire che l’Italia non rinunciò mai del tutto all’Etiopia dopo la sconfitta di Adua. Questa sconfitta aveva dimostrato che non sarebbe stato facile organizzare una spedizione militare coloniale contro un impero così ben organizzato e potente come quello dell’Etiopia, che era densamente popolato. Tuttavia, negli ambienti italiani, molti continuarono a nutrire l’ambizione di espandersi in Etiopia.
Prima della Prima Guerra Mondiale, l’Italia aveva già cercato diverse volte di indebolire l’Etiopia, ad esempio, ostacolando i suoi contatti diplomatici con la Francia e la Gran Bretagna. L’Italia aveva anche cercato di fomentare rivolte tra i vari ras locali, i signori locali che giuravano fedeltà all’imperatore etiope ma che, nella realtà, avevano il controllo dei loro territori. L’Italia sperava di approfittare di tali ribellioni per attaccare nuovamente l’Etiopia.

Pianificazione Della Conquista dell’Etiopia

Nel 1925, eravamo ancora lontani dall’effettiva aggressione dell’Italia all’Etiopia, che avverrà circa 10 anni dopo. Tuttavia, è noto che fin dal 1925 Mussolini aveva iniziato a considerare questa conquista. Questa avventura avrebbe dovuto servire a due scopi principali. In primo luogo, doveva fungere da potente strumento propagandistico, dimostrando che il governo italiano poteva riuscire là dove i suoi predecessori avevano fallito. In secondo luogo, doveva essere il fondamento del cosiddetto “destino imperiale” dell’Italia, un obiettivo propagandistico per la conquista di nuovi territori coloniali.

L’Etiopia al Tempo di Menelik II

L’Etiopia all’epoca della battaglia di Adua era notevolmente diversa da quella che conosciamo oggi. Dopo aver sconfitto gli italiani ad Adua e assicuratosi che gli italiani non avrebbero invaso nuovamente l’Etiopia nel breve periodo, Menelik II aveva cercato di modernizzare il paese, soprattutto dal punto di vista economico e industriale. Uno dei suoi obiettivi principali era trovare un accesso al mare per l’Etiopia, che al momento era completamente bloccato da potenze coloniali come la Francia a Gibuti, e l’Italia in Somalia  ed Eritrea. Per farlo, Menelik aveva cercato di convincere le potenze europee a costruire ferrovie nel suo territorio.

Questa mossa aveva spinto Gran Bretagna, Francia e Italia a iniziare discussioni tra loro, che erano favorevoli agli interessi etiopi.

Questi colloqui avevano diminuito il rischio di un’aggressione da parte di una di queste potenze, il che era un risultato gradito agli etiopi. Tuttavia, dal punto di vista europeo, c’era ancora una certa diffidenza nel trattare l’Etiopia come una potenza pari.

Modernizzazione e Cambiamenti in Etiopia

Tuttavia, bisogna tener presente che Menelik II era, in ogni caso, un sovrano africano. Pertanto, cercò non solo di espandere il suo territorio, ma anche di modernizzarlo. Questi sforzi compresero la creazione di strutture economiche e addirittura l’introduzione di industrie. Anche se le risorse finanziarie erano limitate, si impegnò a importare tecnologie moderne. Ad esempio, si rivolse a vari esperti militari per riformare l’esercito, cercando di creare un esercito moderno anziché il tradizionale esercito feudale, dove le forze erano principalmente riservate agli ordini delle diverse tribù locali.
 Va notato che questi sforzi non ebbero successo eclatante. Quando scoppiò la guerra con l’Italia, l’Etiopia aveva una Guardia Imperiale, ma la maggior parte delle forze armate era ancora legata agli ordini delle tribù locali. Inoltre, furono istituite scuole per promuovere l’alfabetizzazione e l’istruzione generale, nel tentativo di modernizzare il paese in tutti i sensi.

Cambiamenti nel Potere: La Successione di Menelik II

Nel 1906, la situazione subì un cambiamento significativo quando Menelik II si ammalò e fu costretto a ritirarsi dal potere. Inizialmente, sua moglie agì come reggente, ma presto anche lei fu rimossa dal potere e costretta a ritornare da suo marito. Bisogna tenere presente che nel solco della genealogia tracciata nel testo sacro dell’antica tradizione etiope, il Kebra Nagast, noto come il “Libro della Gloria dei Re”, Menelik II emerge come il duecentoventitreesimo discendente di Menelik I. Originariamente noto come Bayna-Lehkem ed Ebna la-Hakim, che si traduce come “Figlio del Saggio”, Menelik I è stato il fondatore dell’antico Impero d’Etiopia ed è stato il primo imperatore della nazione.

Il Miracoloso Furto dell’Arca dell’Alleanza

Zadok o Tsadok
Zadok o Tsadok

Secondo la narrazione epica del Kebra Nagast, Menelik I era il figlio primogenito della Regina di Saba, Makeda, e del leggendario re d’Israele, Salomone. Con l’assistenza di un giovane sacerdote del Tempio di Gerusalemme di nome Zadok o Tsadok, e grazie alla benedizione divina, Menelik I riuscì a portare via l’Arca dell’Alleanza da Israele, portandola in Etiopia. Secondo la leggenda, l’Arca è ancora conservata in Etiopia. Per la precisione all’interno della Chiesa di Nostra Signora Maria di Sion ad Aksum,  si trova una cripta, accessibile solo al smonaco  custode, addestrato nell’arte di uccidere a mani nude. Questo luogo sacro è protetto da sette serrature e la leggenda vuole che contenga l’Arca dell’Alleanza, una cassa di legno con coperchio d’oro che, secondo la tradizione, custodisce le Tavole dei Dieci Comandamenti dettate da Dio a Mosè sul monte Sinai. Sebbene molto probabilmente sia una replica, il mistero che avvolge questa cattedrale africana la rende uno dei luoghi più inaccessibili al mondo.

Chiesa di Nostra Signora Maria di Sion
Chiesa di Nostra Signora Maria di Sion

 

La Lunga Discendenza di Menelik I

La discendenza regale da Menelik I a Menelik II attraversa ben 223 generazioni. Menelik II è stato incoronato Imperatore d’Etiopia nel 1889. Egli seguiva la linea di discendenza regale che risaliva a David e Salomone, appartenente alla Tribù di Giuda. Questa genealogia legittimava il suo governo e la sua autorità come sovrano etiope.

Fu sostituita da suo nipote, Iyasu V, che, sebbene non fosse il figlio legittimo dell’Imperatore, divenne il suo erede. Questa successione non fu accolta con favore da molti all’interno della nobiltà etiope. Iyasu V era noto per la sua severità, e alcuni temevano che potesse consolidare ulteriormente il suo potere. Inoltre, alcune voci lo accusavano di essere segretamente musulmano, scelta religiosa  che in uno stato ortodosso come l’Etiopia era fortemente biasimata.

Zauditu, La regina triste
Zauditu

Nel 1916, ci fu un altro colpo di stato che portò al potere Zauditu, La regina triste,  una figlia di Menelik II. È degno di nota che Zauditu divenne l’ultima imperatrice regnante della storia, fino all’ascesa dell’Imperatrice giapponese, rappresentando un’eccezione straordinaria nella storia. Il suo regno segnò un cambiamento di rotta poiché la nuova imperatrice era conservatrice e cercò di frenare le riforme e le modernizzazioni, sostenuta dal padre, perché una parte della nobiltà che temeva che tali cambiamenti avrebbero minato il loro potere.

regina di saba

L’Emergere di Ras Tafari Makonnen

Ma il vero punto di svolta sarà l’emergere di Ras Tafari Makonnen, noto come il nipote di un signore locale chiamato Farì Maconnen, che aveva precedentemente sostenuto l’imperatrice e aveva anche combattuto contro gli italiani. Questo individuo aveva giocato un ruolo chiave nel portare la nuova imperatrice al potere.
Progressivamente, Ras Tafari Makonnen iniziò ad accumulare sempre più potere e iniziò a governare effettivamente l’Impero, insieme al marito  dell’imperatrice. In un certo momento, fu persino nominato Negus, un titolo sovrano, anche se con una posizione inferiore rispetto all’imperatrice, che deteneva il titolo di Nigiste Negesti, cioè imperatrice regina dei re.
Ras Tafari Makonnen iniziò a intraprendere il percorso di modernizzazione del paese, ma lo fece con grande cautela per evitare di subire la stessa sorte del precedente governante, Iyasu V Il suo regno continuò a consolidarsi e, nel 1930, dopo la morte dell’imperatrice, Ras Tafari Makonnen salì al potere. È noto principalmente con il nome che ha assunto in seguito: Haile Selassie.Ora potreste chiedervi: “Chi è Haile Selassie?“. Questo nome potrebbe non essere molto familiare, ma diventerà un protagonista fondamentale nella storia, soprattutto quando scoppiò la guerra italo-etiope nel 1935.

Ras Tafari Makonnen
Ras Tafari Makonnen o Haile Selassie

Amicizia tra Italia ed Etiopia

Tuttavia, va notato che, sia durante il governo dell’imperatrice che dopo la sua ascesa, le relazioni tra l’Italia e l’Etiopia erano principalmente amichevoli. Nel 1928, è stato addirittura siglato un accordo tra le due nazioni noto come l’“Accordo Italo-Etiopico“, che cercava di risolvere le continue tensioni di confine che avevano caratterizzato i rapporti tra italiani ed etiopi fino a quel momento.

La Società delle Nazioni e la Preparazione Italiana

Nonostante l’adesione dell’Etiopia alla Società delle Nazioni, istituita per preservare la pace globale dopo la Prima Guerra Mondiale, l’accordo rimase superficiale. Nei primi anni ’30, l’Italia accelerò i preparativi per una campagna militare in Etiopia.L’Italia cercò sostenitori tra le nazioni vicine, ma non riuscì a ottenere un consenso ufficiale dalla Gran Bretagna o dalla Francia, anche se queste dichiararono di non intervenire direttamente in caso di un’invasione etiope.

Propaganda e Mobilitazione dell’Opinione Pubblica

Per preparare l’opinione pubblica italiana all’eventuale guerra, il governo italiano intensificò la propaganda e distribuì volantini, organizzò mostre e sottolineò i presunti benefici della colonizzazione. Parallelamente, si mise in evidenza la schiavitù praticata in Etiopia, senza menzionare che l’imperatore aveva avviato sforzi per abolirla entro il 1940.

L’Accelerazione della Preparazione Italiana

Nonostante le difficoltà, Mussolini accelerò la preparazione per l’invasione dell’Etiopia nel 1932. Incaricò il Ministero delle Colonie, guidato da Emilio De Bono, di studiare i piani per l’attacco. Tuttavia, De Bono non era entusiasta dell’idea di una campagna etiopica, favorendo una strategia limitata che cercava di ridurre i costi e gli sforzi.

Il Piano Originale e le Sue Critiche

Il piano originale di De Bono prevedeva due direttrici d’attacco: una dalla Somalia come distrazione e l’altra da nord con un’enfasi sull’occupazione del Tigray e di una parte della Somalia. Tuttavia, questo piano sottostimava gravemente le forze etiopi, che si credeva fossero solo da due o trecentomila unità. Questo piano aveva il vantaggio di ridurre le spese, ma aveva molti punti deboli.

Le Voci Contrarie e l’Intransigenza di Mussolini

Nel periodo tra il 1932 e il 1934, ci furono molte voci contrarie all’idea di un’invasione dell’Etiopia. Alcuni sottolineavano i costi economici e i rischi politici e militari. Tuttavia, Mussolini rimase irremovibile nella sua determinazione, istituendo persino misure repressive contro coloro che si opponevano all’invasione. Era deciso a conquistare l’Etiopia, anche se ciò significava isolare l’Italia e consumare risorse militari preziose.

L’Entrata in Scena di Badoglio e una Nuova Strategia

A questo punto, entriamo nella fase in cui un nuovo protagonista, il Maresciallo Badoglio, prende il palcoscenico. Badoglio divenne il principale sostenitore di un gruppo all’interno dell’esercito che vedeva la campagna etiopica in una luce diversa. Questi militari non intendevano condurre una guerra coloniale rapida e veloce, ma una guerra più simile a quelle combattute in Europa. In altre parole, volevano una guerra offensiva lenta per annientare il nemico e conquistare l’intero territorio etiope.
 Per condurre una guerra di questo tipo, erano necessari notevoli sforzi logistici, inclusi sistemi di approvvigionamento, strade e ferrovie per trasportare rifornimenti al fronte. Tuttavia, l’Italia aveva trascurato molte di queste necessità. Era evidente che ci voleva un intervento più tempestivo e un maggiore preparativo in previsione dello scoppio della guerra.

Guardando nei Libri di Storia: Il Caso Scatenante della Guerra in Etiopia

Se consultate i libri di storia, troverete che l’evento scatenante della guerra in Etiopia fu l’assalto etiope al Forte di Ual Ual, un avamposto italiano situato nella parte meridionale dell’Etiopia. Tuttavia, questa spiegazione potrebbe sembrare un po’ semplificata, quindi analizziamola in dettaglio.

Una Data Che Non Corrisponde

L’assalto al Forte di Ual Ual, anche se fu uno scontro relativamente poco sanguinoso, avvenne il 5 dicembre 1934. Tuttavia, la guerra in Etiopia scoppiò nell’ottobre del 1935. Perciò, è importante andare al di là delle date per capire il contesto.

La Complessità dei Confini

Il Forte di Ual Ual, anche se era mantenuto da truppe italiane, era in realtà situato in una zona nota come Ogaden, che faceva parte del territorio etiope. Questa regione era caratterizzata da deserti e poche vie di comunicazione. Il forte si trovava in una zona con pozzi d’acqua fondamentali per il passaggio attraverso il deserto.

Delimitazione dei Confini

La delimitazione dei confini nella zona meridionale dell’Etiopia era una questione delicata. Dopo la battaglia di Adua, che aveva visto la sconfitta italiana e la firma della pace con Menelik II, i confini non erano stati definiti in modo esaustivo. Si era stabilito che l’Italia avrebbe avuto il controllo di un territorio che si estendeva fino a 180 chilometri nell’entroterra dalla costa.
 Il Forte di Ual Ual, tuttavia, si trovava a quasi 300 chilometri dalla costa, il che ha innescato una disputa. Gli etiopi sostenevano che quel territorio fosse di loro pertinenza, mentre gli italiani sottolineavano che faceva parte di un sultanato che era stato inglobato nella colonia somala italiana. Questa situazione di incertezza aveva portato a scontri di confine e alla costruzione di piccoli forti sia da parte italiana che etiope lungo il confine.Il Forte di Ual Ual, quindi, rappresenta un punto chiave in una disputa territoriale complessa tra Italia ed Etiopia, con le due nazioni che interpretavano in modo diverso il Trattato di pace e i confini nella regione.

La Complessità dei Fortini

I “fortini” lungo il confine italo-etiope erano variegati nella loro natura. Alcuni di essi erano temporanei, altri erano permanenti, soprattutto quelli più vicini al confine. Questi forti potevano variare notevolmente nella loro organizzazione e struttura. Alcuni, specialmente quelli più profondi all’interno del territorio, erano ben strutturati, con presenza di ufficiali italiani, armamenti adeguati e una solida struttura difensiva. Al contrario, alcuni forti erano semplici postazioni fortificate, con poco più di una palizzata e capanne in cui risiedevano i “Dubat,” le truppe somale arruolate nell’esercito italiano.

La Disputa Territoriale

La presenza italiana in questa zona non era vista di buon occhio dagli etiopi, poiché rappresentava una penetrazione italiana nel territorio che essi ritenevano di loro pertinenza. Questo causò preoccupazioni e proteste da parte dei capi locali etiopi, che sollevarono la questione presso il Negus Neghesti, la regina.
 Diversi tentativi furono fatti per risolvere questa disputa territoriale. Si appellò alla Società delle Nazioni, che alla fine non riuscì a stabilire confini chiari, rinviando la decisione. Successivamente, si cercò la mediazione dell’Inghilterra, ma nessuna soluzione definitiva fu raggiunta.

L’Assedio del Forte di Ual Ual

La situazione raggiunse il culmine nel novembre del 1935, quando forze etiopi, supportate da delegati inglesi, raggiunsero il Forte di Ual Ual e intimarono alla rappresentanza italiana di lasciare la zona. Nonostante l’inferiorità numerica, gli ufficiali italiani si rifiutarono di ritirarsi. Iniziò un dialogo, ma la presenza di aerei italiani che sorvolarono e spararono colpi di mitragliatrice come intimidazione ebbe l’effetto contrario, facendo collassare qualsiasi possibilità di accordo con gli inglesi e gli etiopi. Gli inglesi si ritirarono, e gli etiopi, di fronte a questa risposta, presero d’assalto il Forte di Ual Ual il 5 dicembre 1934.

L’Esito dell’Assedio

L’assalto al Forte di Ual Ual provocò alcune ore di scontri sanguinosi, con pesanti perdite da entrambe le parti. Alla fine, gli italiani ebbero la meglio, grazie alla loro superiorità numerica e agli armamenti migliori. Si stima che ci furono circa 30-40 morti tra gli italiani e circa 300 tra gli etiopi. Questo evento, sebbene all’inizio sembrasse non portare a nulla, avrebbe presto cambiato la situazione e avviato gli eventi che portarono alla guerra in Etiopia.

L’Uso del Caso di Ual Ual per Scatenare la Guerra

Il governo italiano avrebbe utilizzato l’incidente di Ual Ual come pretesto per scatenare la guerra con l’Etiopia. La disputa territoriale, l’assedio del forte e le conseguenze di questo evento avrebbero presto innescato un conflitto su larga scala tra le due nazioni.

Il Cambio di Strategia di Mussolini

Benito Mussolini aveva a lungo considerato l’idea di una guerra in Etiopia e aveva autorizzato la preparazione di piani per tale eventualità. Tuttavia, dopo l’incidente di Ual Ual, cambiò radicalmente approccio. Invece di pianificare una guerra coloniale limitata, Mussolini decise che l’Italia avrebbe condotto una grande guerra, una guerra su vasta scala. Questa guerra non doveva essere vista come una mera impresa coloniale, ma come una dimostrazione della grandezza dell’Italia fascista.

La Preparazione di una Grande Guerra

Questo nuovo approccio presentò una serie di problemi. Prima di tutto, la propaganda interna aveva bisogno di convincere la popolazione italiana della necessità di una guerra di tale portata. Mussolini e il regime fascista iniziarono a dipingere l’Etiopia come un luogo ideale per l’emigrazione italiana, con vaste opportunità di terra, pascoli, miniere d’oro, argento e pietre preziose. Si presentava l’Etiopia come un’opportunità per milioni di italiani che altrimenti avrebbero emigrato in altri paesi. Questa narrativa aveva lo scopo di suscitare entusiasmo tra i cittadini italiani.

Problematiche Legate all’Emigrazione e alla Colonizzazione e di Politica Estera 

Tuttavia, questa strategia di emigrazione e colonizzazione aveva i suoi problemi, poiché richiedeva tempo per essere attuata, e la guerra era imminente. Inoltre, l’Etiopia non era ancora una terra colonizzata, quindi non era chiaro quanto sarebbe stata facilmente accessibile per gli italiani.
Dal punto di vista della politica estera, l’Italia stava preparando l’attacco all’Etiopia in modo non segreto. Le mosse dell’Italia erano state osservate da altre nazioni, e c’era una crescente consapevolezza internazionale della preparazione italiana per la guerra. Ciò pose Mussolini e l’Italia in una situazione difficile, poiché dovevano affrontare le preoccupazioni e le pressioni delle potenze straniere, in particolare il Regno Unito e la Francia.
Inoltre, la nuova strategia di Mussolini di condurre una guerra su vasta scala richiedeva una pianificazione logistica complessa e risorse significative. Dovevano essere mobilitate grandi quantità di truppe e risorse per un conflitto di questa portata.

La Politica Estera

La situazione diplomatica era complessa e coinvolgeva la Società delle Nazioni, la Francia e l’Inghilterra, con queste ultime due nazioni che avevano obiettivi politici specifici.

 

La Società delle Nazioni

Questo organismo internazionale nacque dopo la Prima Guerra Mondiale con l’obiettivo di risolvere le dispute internazionali attraverso mezzi diplomatici. Tuttavia, la Società delle Nazioni si rivelò spesso inefficace nel prevenire conflitti, e il caso dell’Etiopia ne fu un esempio. Nonostante la Società delle Nazioni avesse riconosciuto che sia l’Etiopia che l’Italia avevano agito male nell’incidente di Wal Wal, non intraprese azioni significative per impedire l’invasione italiana. Questo indebolì ulteriormente la credibilità dell’organizzazione.

La Francia e l’Inghilterra


Inizialmente, Francia e Inghilterra sembravano avere interesse a mantenere l’Italia come alleato per contrastare la Germania nazista. Inoltre, avevano accordi segreti e posizioni ambigue riguardo all’azione italiana in Etiopia. Ad esempio, la Francia aveva ceduto una parte del Ciad alla Libia italiana in cambio del supporto italiano. Inoltre, durante la Riunione di Stresa del 1935, questi tre paesi sembrarono rinnovare la loro alleanza contro la Germania. Tuttavia, le democrazie francesi e inglesi non erano in grado di opporsi ufficialmente all’Italia a causa delle pressioni dell’opinione pubblica interna, che era contraria a un coinvolgimento militare in favore dell’Etiopia. Questo rese difficile per i governi di questi paesi agire contro l’Italia in modo deciso.

La Germania


Curiosamente, la Germania nazista vendeva armi all’Etiopia durante questo periodo. Questo perché la Germania aveva interesse a mantenere l’Italia lontana dal fronte europeo e distolta dal fronte di Stresa. Tuttavia, all’epoca, la Germania non era ancora la potenza militare che sarebbe diventata negli anni successivi.

In sintesi, la situazione diplomatica era complicata dalla debolezza della Società delle Nazioni, dagli interessi politici contraddittori della Francia e dell’Inghilterra e dalla vendita di armi da parte della Germania all’Etiopia. Questi fattori hanno contribuito a creare una situazione in cui l’Italia si sentiva relativamente libera di procedere con l’invasione dell’Etiopia.

La Preparazione Etiope e la Sfida Tecnologica

L’Etiopia, in realtà, vantava una truppa meglio addestrata, composta principalmente dalla guardia dell’imperatore. Questi soldati erano stati istruiti da istruttori europei provenienti da varie nazioni, sebbene il loro numero fosse relativamente esiguo e non sufficiente a ribaltare la situazione.Sotto il profilo tecnologico, la situazione etiope era disastrosa. Il numero di aerei era estremamente basso, mancavano veicoli per il trasporto e non c’erano carri armati. In breve, si trovavano in una situazione estremamente precaria fin dall’inizio della guerra. Era chiaro sin dall’inizio che i rapporti numerici e l’arsenale bellico erano fortemente sbilanciati.

Il Discorso Coraggioso del Papa

Tuttavia, la guerra ebbe inizio, e va notato che pochi governi, se non nessuno, espressero apertamente opposizione alla volontà italiana di attaccare l’Etiopia. C’è un’eccezione notevole da menzionare: il Papa, che alla fine di agosto del 1935 pronunciò un discorso condannando l’eventualità dell’attacco italiano all’Etiopia e invitando al ritorno al tavolo delle trattative di pace. Egli chiese di interrompere l’invio di truppe e di evitare un ulteriore massacro. Questo discorso ebbe un impatto significativo all’estero, in particolare in Francia e in Inghilterra, dove fu ampiamente riportato dai media. Tuttavia, in Italia, il discorso del Papa non fu ampiamente diffuso dai giornali, dato che andava contro la linea ufficiale del governo italiano e dell’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede.

L’Inizio della Guerra: Le Due Direzioni dell’Invasione

Questo atto di coraggio del Papa, nonostante i precedenti rapporti positivi con il governo italiano, rappresentò un segno significativo di opposizione alla guerra. Tuttavia, la guerra era ormai iniziata e non poteva essere fermata. Il 3 ottobre 1935, Emilio De Bono prese il comando delle forze italiane e iniziò l’invasione dell’Etiopia, seguendo due direzioni principali. La principale avanzava da nord, partendo dalla colonia eritrea e dirigendosi verso sud, con l’obiettivo finale di raggiungere Addis Abeba. La seconda direttrice, decisamente meno numerosa in termini di truppe e rifornimenti, era sotto il comando del generale Graziani. Queste truppe avevano l’incarico di effettuare incursioni oltre il confine meridionale dell’Etiopia per tenere occupate le forze etiopi locali, impedendo loro di dirigersi verso nord per bloccare l’avanzata di De Bono.

Graziani e le Incursioni nel Sud

Graziani, interpretando la situazione a modo  suo , si lamentava costantemente della scarsità di truppe a sua disposizione, il che era certamente vero. Tuttavia, approfittò anche di questa situazione per effettuare una serie di incursioni nell’entroterra, in una zona desertica che gli etiopi avevano praticamente abbandonato. Era evidente che gli italiani non avrebbero potuto effettuare un avanzamento su vasta scala in quella direzione a causa delle difficoltà del terreno.

Graziani sfruttò questa situazione per spingersi in profondità, occupando villaggi e alcune piattaforme fortificate. Tuttavia, in un momento di eccessiva fiducia dovuta a queste vittorie relativamente facili (considerando che gli etiopi tendevano a ritirarsi invece di combattere), Maletti, un generale italiano, avanzò troppo lontano dalle altre truppe. Questo portò a un contrattacco etiope e, dopo scontri intensi, le forze italiane furono costrette a ritirarsi. Quindi, Graziani, sebbene avesse un compito apparentemente agevole, non riuscì a ottenere risultati significativi e, anzi, contribuì a rendere disastrosa la situazione.

L’Uso Controverso delle Armi Chimiche

Tuttavia, il fronte sud non era particolarmente strategico per né Roma né l’Etiopia. Da notare che dopo questa piccola sconfitta, Graziani iniziò a utilizzare armi chimiche, nonostante fossero vietate dalle convenzioni internazionali. Convenzioni internazionali che anche l’Italia aveva sottoscritto, furono impiegate in modo massiccio contro gli etiopi. In particolare, venne utilizzato il gas iprite, noto per essere stato uno degli orrori della Prima Guerra Mondiale. Questo gas, una volta rilasciato, attaccava la pelle provocando la formazione di bolle che si trasformavano in ulcere dolorose. Se veniva inalato, causava danni anche all’apparato respiratorio, provocando ulcere nei polmoni, nella bocca, nei bronchi e causando una morte atroce. Nonostante fossero bandite dalle convenzioni internazionali, queste terribili armi chimiche furono utilizzate su vasta scala contro le truppe etiopi.

Il Fronte Nord: Avanzamento senza Scontri Diretti

De Bono aveva impartito l’ordine di avanzare in profondità, con l’obiettivo di occupare la regione del Tigrè. Questo avanzamento iniziale da parte delle truppe del nord si rivelò praticamente privo di scontri diretti.

La Mossa Strategica di Selassié

La ragione di ciò risiedeva nel fatto che Selassié, l’impratore  etiope, aveva dato ordine ai suoi uomini di ritirarsi di quasi cento chilometri all’interno dell’Etiopia. Questa mossa aveva due scopi principali.In primo luogo, consentiva alle truppe etiopi di raggrupparsi e concentrarsi in modo più efficace, evitando di essere annientate in piccoli gruppi. In secondo luogo, aveva lo scopo di dimostrare al mondo che l’Italia era l’aggressore nell’area e, quindi, di evitare incidenti che avrebbero potuto creare complicazioni diplomatiche. Di conseguenza, l’avanzata di De Bono si rivelò pressoché indolore e venne sfruttata a fini propagandistici.

La Tattica di De Bono: Posizioni Fortificate

Durante questo periodo, città come Adua e Axum furono occupate, e De Bono catturò l‘obelisco di Axum, inviandolo successivamente in Italia, dando origine a una controversia diplomatica dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, queste veloci avanzate di De Bono si fermarono dopo pochi giorni. Fedele al suo piano iniziale, decise di occupare una striscia di territorio e avviare la costruzione di strade per facilitare i rifornimenti verso il fronte. Allo stesso tempo, costruì posizioni fortificate in attesa di un possibile contrattacco etiope. La sua intenzione era di sfruttare queste posizioni per penetrare ulteriormente nel territorio etiope una volta che gli etiopi avessero contrattaccato con forza.

'obelisco di Axum
‘obelisco di Axum

 

Le Pressioni di Mussolini per un Avanzamento Rapido

Tuttavia, questa tattica più lenta di De Bono non era gradita a tutti. In Italia, infatti Badoglio stava cercando di fargli la scarpe,  nonostante la propaganda continuasse a dipingere le piccole vittorie come grandiosi successi, Mussolini iniziò presto a esercitare pressioni affinché De Bono accelerasse il suo avanzamento e accelerasse il ritmo della guerra.

Le Sanzioni della Società delle Nazioni

 Contemporaneamente la diplomazia internazionale entrò in azione.
Dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia, la Società delle Nazioni concesse effettivamente circa un mese all’Italia per ritirarsi dalle sue posizioni, ma alla fine, attivò le famose sanzioni. Queste sanzioni non furono specificamente pensate per questo conflitto, ma erano già previste nello Statuto della Società delle Nazioni. Tale Statuto stabiliva che, se una nazione attaccasse un’altra all’interno della Società, quest’ultima sarebbe stata isolata economicamente da tutte le altre nazioni membri.

Le Limitazioni Effettive delle Sanzioni

Sulla carta, queste sanzioni avrebbero inflitto un grave danno all’Italia. Il commercio estero sarebbe stato interrotto, e l’Italia avrebbe perso l’accesso a risorse cruciali come il petrolio, il carbone e l’acciaio. Tuttavia, nella realtà, alcuni stati influenti come la Francia e l’Inghilterra, non inclusero queste risorse fondamentali nelle sanzioni. Inoltre, alcuni stati, tra cui Spagna, Jugoslavia e Ungheria, continuarono a commerciare con l’Italia nonostante le sanzioni. Allo stesso modo, stati come la Germania, che non facevano parte della Società delle Nazioni, ignorarono le sanzioni.

Il Potere della Propaganda: La Reazione Interna

Di conseguenza, le sanzioni ebbero un impatto relativamente limitato, ma furono ampiamente sfruttate dalla propaganda italiana. Furono distribuiti volantini, organizzate discussioni e manifestazioni per denunciare queste sanzioni ingiuste. Una canzone popolare di quel periodo, “Sanzionami Questo,” divenne molto famosa. (  ci furono varie versioni  in questo link  la versione   ripresa da Pippo Franco)

Il “Giorno delle Fedi” e l’Autarchia

Queste sanzioni, sebbene non avessero un impatto significativo dal punto di vista economico, ebbero un notevole effetto a livello interno, consolidando il sostegno popolare al regime fascista. Si iniziò a parlare di autarchia, di prodotti italiani e furono condotte ricerche per sostituire i prodotti difficili da reperire. Questo legò ulteriormente la popolazione italiana al regime fascista.

Un momento emblematico di questo legame fu il “Giorno delle Fedi,” che si svolse il 18 dicembre 1935.

Durante questa giornata, la popolazione donò simbolicamente le fedi di nozze, gli anelli che si portano sull’anulare della mano sinistra, in oro, e donarli alla patria in cambio di una fede fatta di altro materiale . Persino personaggi famosi parteciparono a questo gesto simbolico, come la Regina Margherita, che fu la prima a donare la sua fede e quella del marito. Anche il celebre scienziato Fermi contribuì donando la sua fede insieme alla medaglia di senatore. Queste azioni rappresentarono dimostrazioni di sostegno al regime fascista, consolidando ulteriormente il suo potere.

Cambiamenti nella Leadership Militare

Tuttavia, sul campo di battaglia, la situazione non migliorò. L’8 novembre, De Bono avanzò e occupò Macallè, ma successivamente si fermò. A questo punto, Mussolini si frustrò e annunciò la sostituzione di De Bono, premiandolo per il raggiungimento degli obiettivi iniziali e promuovendolo a Maresciallo d’Italia, la massima carica militare. De Bono fu sostituito da Badoglio, che, nonostante le promesse di fare meglio, seguì una strategia simile, consolidando le posizioni esistenti in attesa di un contrattacco etiope.

Colloqui Diplomatici e il “Piano della Valle

A differenza di De Bono, Badoglio aveva il sostegno dell’esercito e di una buona parte della popolazione, consentendogli di resistere alle pressioni di Mussolini. In questo contesto, Mussolini iniziò a rivalutare i risultati della guerra e intraprese colloqui diplomatici con Francia e Inghilterra per cercare una soluzione. Questi colloqui portarono all’emersione di un piano che proponeva una pace in cui l’Italia avrebbe ottenuto il Tigrè e il Logaden, ma avrebbe ceduto l’indipendenza all’Etiopia e il porto di Assab.Tuttavia, questo piano non fu ben accolto e finì per essere respinto.

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Le Complesse Dinamiche Diplomatiche

L’opinione pubblica in Francia e Inghilterra accusò i loro ministri degli esteri di intrighi alle spalle del popolo etiope. Questo piano aveva lo scopo di porre fine alla guerra, ma interessava principalmente Inghilterra e Francia, che cercavano di mantenere l’Italia come alleato nel fronte di Stresa contro i nazisti. La guerra continuava a spingere l’Italia verso la Germania, allontanandola dalle potenze occidentali. Tuttavia, il pubblico non riusciva a comprendere appieno queste complesse dinamiche diplomatiche, rimanendo concentrato sull’aspetto fondamentale: uno stato europeo, l’Italia, stava conducendo un’aggressione contro uno stato africano, l’Etiopia.

L’avanzata iniziale e le sfide logistiche

 Come appena detto, questa avanzata, inizialmente vista come facile dal punto di vista militare, ben presto si rivelò molto difficile, soprattutto dal punto di vista logistico. Avanzare in un territorio privo di mezzi moderni, strade e aeroporti si rivelò un compito arduo. La sfida più grande era garantire un flusso costante di rifornimenti per un’armata così imponente come quella schierata dall’Italia. Questa sfida logistica portò De Bono a decidere di arrestare l’avanzata. Quando fu sostituito da Badoglio, la situazione non cambiò significativamente. Badoglio, dopo aver valutato la situazione dei rifornimenti, optò per confermare la tattica di fortificazione e l’attesa di un eventuale contrattacco etiope. La ripresa dell’offensiva non sarebbe avvenuta prima di gennaio.

Le difficoltà dell’esercito etiope

Dall’altra parte del fronte, anche gli etiopi affrontavano sfide complesse. Sebbene avessero concentrato numerose truppe lungo il fronte che andava grossomodo da nord-ovest a sud-sud-est, le truppe etiopi avevano irregolarità significative nell’addestramento e nell’armamento. Alcune unità erano meglio addestrate e armate di altre, ma globalmente erano inferiori agli italiani, soprattutto per quanto riguardava armi pesanti come le mitragliatrici. Inoltre, gli etiopi avevano carenze significative di aerei, il che rappresentò un problema per l’intero conflitto.

 

Scorte limitate di armi e munizioni

Un secondo problema era la quantità limitata di armi e munizioni disponibili. L’Etiopia si rese presto conto che le sue scorte di armi e munizioni sarebbero state insufficienti, poiché non riuscivano ad accogliere nuove forniture. La Francia rappresentava l’unico sbocco sul mare per l’Etiopia tramite il porto di Gibuti, ma anche questo collegamento aveva le sue sfide. Gibuti doveva essere raggiunto attraverso una ferrovia e la logistica era complessa.
In sintesi, entrambe le parti affrontavano sfide significative durante la guerra, con problemi logistici e di fornitura che avrebbero avuto un impatto sul corso degli eventi.

Blocchi ai Rifornimenti: l’Accordo Francese-Italiano

Per di più i francesi si fossero accordati con gli italiani per bloccare quei rifornimenti. Man mano che questi venivano scaricati nel porto di Gibuti, i francesi ne rallentavano l’afflusso alla ferrovia, applicando vari controlli e, in molte occasioni, rimandandoli addirittura indietro. Questo avveniva ovviamente dopo che gli italiani avevano garantito di salvaguardare i cittadini francesi in Etiopia e di evitare di bombardare la ferrovia, che dal punto di vista economico interessava ai francesi. I francesi cercavano in qualche modo di non compromettere la loro posizione diplomatica con la Francia e l’Inghilterra, poiché erano in trattative per evitare una rottura con la Germania. Come sappiamo, alla fine le cose andarono diversamente.

Scelte Errate di Badoglio: Attacchi Aerei

Ciò ci porta all’inizio di dicembre 1935, quando le armate italiane stavano consolidando le loro posizioni in previsione di un possibile contrattacco. Tuttavia, a questo punto, Badoglio compì due scelte che si rivelarono completamente sbagliate. La prima fu tentare di contrastare le bande armate etiopi attraverso attacchi aerei, anziché sfruttare la possibilità di piccoli attacchi terrestri per separare le forze nemiche e sconfiggerle singolarmente. La scelta di Badoglio di attaccare le forze etiopi con l’aiuto della superiorità aerea si rivelò un errore, poiché le truppe etiopi modificarono la loro tattica. Invece di impegnarsi in scontri diretti, iniziarono a muoversi di notte, sfruttando il terreno accidentato e le foreste, rendendo così molto difficile per l’aviazione italiana individuarle e attaccarle.

Comprendere la Tattica Etiopica

Il secondo errore di Badoglio fu la sua errata comprensione della tattica di Selassie. Badoglio credeva che gli etiopi avrebbero concentrato le loro forze sul punto più avanzato dell’avanzata italiana, ossia Macallè. Di conseguenza, Badoglio schierò la maggior parte delle sue truppe a difesa di Macallè, convinto che gli etiopi avrebbero attaccato lì e sarebbero stati facilmente distrutti. Tuttavia, gli etiopi avevano sviluppato un piano completamente diverso, mirando a colpire le zone centrali e settentrionali dello schieramento italiano. Nel nord, dove erano presenti numerose truppe italiane, tra cui la divisione Gran Sasso, gli etiopi cercavano di attaccare i campi trincerati di Axum e Adua, sebbene fossero posizionati a una certa distanza dal fronte principale. Inoltre, schierarono circa 1.000-1.500 truppe irregolari e un piccolo gruppo di carri veloci.

Carri Armati L3 e L33: Piccoli ma Veloci

Conosciuti principalmente come L3 o L33, si trattava di piccoli carri armati, letteralmente minuscoli, con un peso di non più di due o tre tonnellate. Questi veicoli erano progettati per essere incredibilmente veloci, tanto che nella Seconda Guerra Mondiale sarebbero stati soprannominati ‘le scatolette d’acciughe’ a causa delle loro dimensioni. Questi carri armati si rivelarono vere e proprie trappole per gli italiani. Bastava un pezzo di anticarro ben posizionato per distruggerli,ma  anche armi a breve distanza. Questo era possibile grazie alla loro leggera corazza. In Etiopia, dove gli etiopi non avevano accesso a armamenti pesanti o pezzi anticarro, questi carri riuscirono a difendersi con successo.

Importanza Strategica del Tembien

Tuttavia, il problema principale per gli italiani non era situato nello Scirè, ma nella zona centrale del Tembien. Questa regione fungeva da cerniera tra i due principali schieramenti italiani ed era di fondamentale importanza strategica. Sorprendentemente, Badoglio aveva schierato un numero molto esiguo di truppe in questa zona, tra cui alcuni gruppi di Camicie Nere e Ascari eritrei. Il loro numero era estremamente limitato, appena 2.000-3.000 uomini. Questa zona era considerata poco a rischio da Badoglio, ma si rivelò di vitale importanza nel contrastare le forze etiopi.

Primo Attacco Etiopico nello Scirè

Gli etiopi, comandati da Raz Cassa Darghiè e vari Ras sotto il suo comando, lanciarono il loro primo attacco contro le posizioni più a nord nello Scirè. Questo attacco avvenne nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1935. Le forze irregolari, guidate dal Maggiore Criniti, iniziarono a opporsi agli etiopi. Tuttavia, una volta che si resero conto dell’ampia disparità di forze, con 60.000 etiopi contro appena 1.000-1.500 italiani, Criniti decise di ritirarsi. Temendo che gli etiopi potessero sbarrare loro la strada, ordinò ai carri veloci di anticiparlo e prendere la testa della colonna. Questa fu una mossa intelligente, ma l’errore italiano fu di non inviare truppe in anticipo per mantenerla. Nel frattempo, gli etiopi avevano circondato la colonna italiana, come indicato sulla mappa. Questa situazione portò alla distruzione quasi completa dei carri armati quando il Maggiore Criniti raggiunse il passo.

Il Successo della Strategia Etiopica

Per liberarsi da questa situazione, Criniti ordinò ai suoi uomini di sferrare un attacco disperato alla baionetta, che si rivelò estremamente sanguinoso. Tuttavia, questa mossa consentì loro di aprirsi la strada e ritirarsi verso la Divisione Gran Sasso. Una volta lì, la divisione ricevette l’ordine da parte di Badoglio di ritirarsi ulteriormente verso Axum, poiché riteneva che la posizione non fosse difendibile. Questa fu una decisione costosa, ma dimostrò che la strategia degli etiopi aveva funzionato a loro vantaggio.

Errori Tattici: Le Disastrose Scelte di Badoglio

Grazie a una serie di errori tattici, incluso l’errore di non controllare adeguatamente il passo di Dembeguinà, Badoglio diede la colpa ai suoi subordinati. È evidente che queste mancanze ebbero un costo, poiché le forze italiane furono inizialmente respinte dagli etiopi. Nei giorni successivi, l’uso dell’aviazione, ora più informata sulle posizioni etiopi grazie agli scontri precedenti, causò gravi danni alle forze nemiche.

L’Uso delle Armi Chimiche: Una Svolta Nella Guerra

In particolare, l’uso di armi chimiche, nonostante il divieto nelle convenzioni, fu massiccio in questa zona, incluso il terribile gas iprite, che causava morte lenta e dolorosa.
Gli etiopi, dopo aver respinto gli italiani dal campo trincerato di Axum, si ritirarono, occupando quasi completamente lo Scirè. Una situazione simile si sviluppò nella zona centrale del Tembien, che univa il fronte italiano. Gli etiopi, all’attacco, riuscirono a spingere gli italiani indietro, costringendoli a ritirarsi verso il passo che portava verso il territorio italiano.

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La Seconda Offensiva Etiopica: Una Lotta per la Sopravvivenza

Badoglio riconobbe il pericolo che gli etiopi avrebbero potuto dividere le sue forze se avessero sfondato nel Tembien. Si rese anche conto che un potenziale sfondamento nello Scirè avrebbe minacciato l’Eritrea e le basi italiane, spingendo gli italiani a ritirarsi. Decise quindi di concentrare rinforzi su tutto il fronte per organizzare una nuova offensiva e bloccare qualsiasi contrattacco. Tuttavia, sottovalutò il tempo che avrebbe richiesto agli etiopi per riorganizzarsi.
Il 19 gennaio, gli etiopi lanciarono il loro secondo assalto mentre gli italiani si preparavano ancora. Questa volta, Badoglio riuscì a reagire più rapidamente e spostò le sue forze per occupare posizioni più vantaggiose. Tuttavia, a causa di errori di comunicazione e azioni sconsiderate da parte di alcuni comandanti, alcune truppe italiane furono circondate e subirono gravi perdite

La Sfida al Passo di Termabèr: Gli Italiani sotto Assedio

Questa sconfitta costrinse le altre forze del Tigrè a ritirarsi nuovamente verso il passo di Termabèr, circondato dalle forze etiopi che iniziarono a metterlo sotto assedio. Gli italiani al Passo di Termabèr si trovarono rapidamente in una situazione critica. Non solo gli etiopi erano numericamente superiori, superando gli italiani di quasi 10 a 1, ma anche le scorte erano esigue. Non c’era modo di ricevere rinforzi, e l’approvvigionamento d’acqua rappresentava una sfida cruciale poiché l’unico corso d’acqua, già quasi completamente prosciugato, era stato occupato dalle forze etiopi. Tragicamente, quasi una trentina di soldati italiani persero la vita mentre cercavano di procurarsi acqua per aiutare la loro causa.

Nel frattempo, Badoglio aveva già anticipato la possibilità della caduta del Passo di Termabèr e il conseguente frazionamento delle sue forze. Pertanto, stava già organizzando una possibile ritirata verso Macallè.

Badoglio Organizza una Spedizione di Soccorso

Tuttavia, Badoglio decise anche di lanciare una spedizione di soccorso per il Passo di Termabèr. Sfortunatamente, questa spedizione raggiunse il passo solo tre giorni dopo, come comunicato ai difensori tramite un volantino consegnato per via aerea.I difensori del passo resistettero con eroismo, sfruttando al massimo il loro armamento e la posizione elevata. Ancora una volta, gli attacchi aerei italiani, compreso l’uso di gas iprite, inflissero pesanti perdite alle truppe nemiche. Dopo tre giorni di feroce combattimento, le forze di Raz Cassa non riuscirono a catturare il passo. L’arrivo dei rinforzi costrinse gli etiopi a ritirarsi sotto il costante bombardamento italiano. Sebbene questa non fosse una vittoria completa per gli italiani, che erano tornati alle loro posizioni di partenza e avevano subito pesanti perdite, erano riusciti a respingere l’assedio nemico. Anche se gli italiani avevano subito notevoli perdite, si stima che gli etiopi ne avessero subite almeno cinque volte di più.

Il Controattacco di Badoglio: Amba Aradan e la Svolta nella Guerra

Nonostante la vittoria tattica, gli etiopi avevano consumato gran parte delle loro riserve di armi e munizioni durante questa offensiva e il morale delle truppe era a un livello molto basso. Quando gli italiani prepararono un controattacco, gli etiopi, ormai indeboliti, ebbero molte difficoltà a difendersi. Era proprio questo il piano che Badoglio stava mettendo in atto il 10 febbraio.Badoglio pianificò di attaccare le forze etiopi a sud, cercando di prendere di mira il loro caposaldo, la montagna chiamata Amba Aradan. L’obiettivo era semplice: sconfiggere le forze a sud per poi circondare quelle centrali e annientarle. Badoglio non mirava solo a conquistare nuovo territorio, ma a distruggere completamente le forze etiopi, impedendo loro di ritirarsi e organizzare una nuova difesa più vicino a Addis Abeba.

La Battaglia di Amba Aradan: La Fine delle Forze Etiopi

Il 10 febbraio, Badoglio lanciò un attacco con 70.000 uomini italiani contro le difese dell’Amba Aradan. Gli etiopi avevano un esercito numericamente simile, con circa 80.000 uomini, ma erano svantaggiati dal punto di vista degli armamenti. Gli italiani avevano 12 volte il numero di mitragliatrici e 15 volte il numero di pezzi d’artiglieria, più moderni e performanti. Inoltre, disponevano di un’aviazione, una risorsa che gli etiopi non possedevano. Gli effetti di questa superiorità furono evidenti: le forze di Badoglio circondarono rapidamente l’Amba Aradan e resistettero con successo ai contrattacchi etiopi.

L’Uso di Gas Vietati: Gli Orrori della Guerra

Le truppe italiane sferrarono un’offensiva verso la cima della montagna, che fu raggiunta il 15 febbraio dalle forze del Duca di Pistoia, cinque giorni dopo l’inizio della battaglia. Questo scontro fu ancora una volta feroce, ma alla fine gli italiani riuscirono a conquistare la montagna senza concedere quartiere agli etiopi in fuga. Gli aerei italiani utilizzarono bombe più piccole, cariche con un gas derivato dall’arsenico, che causava la morte in circa 30 minuti per chi lo inalava. Anche in questo caso, si trattava di una morte atroce, poiché provocava un’anemia emolitica, con globuli rossi che si sfaldavano e creavano coaguli. Va notato che anche questi gas erano chiaramente vietati dalle convenzioni internazionali.

La Tribù degli Galla  Azebo e l’Ultima Battaglia di Ras Cassa

La tribù locale degli Galla Azebo  si schierò con gli italiani e fornì truppe di supporto, attaccando le colonne etiopi in fuga. A questo punto, Selassie si rese conto che il suo intero esercito rischiava di disintegrarsi, quindi diede l’ordine alle forze di Ras Cassai nella zona centrale di ritirarsi per riunirsi alle sue e organizzare un’ultima battaglia. Tuttavia, i suoi ordini arrivarono troppo lentamente e Ras Cassa fu investito dalle forze di Badoglio, che riuscirono a sconfiggerlo grazie all’uso efficace dei bombardamenti.

La  Disperata Speranza di Selassie

Nel frattempo, a nord,Selassie cercò di ritirarsi quando vide che gli italiani stavano contrattaccando, ma fu inutile. I bombardamenti italiani fecero strage delle sue truppe. Alla fine, tra Addis Abeba e le truppe italiane, rimase solo un ultimo contingente di 35.000 uomini, che rappresentava l’ultima speranza per Selassie. Queste truppe, composte dalle migliori unità dell’esercito etiope, insieme alla sua guardia personale, erano numericamente insufficienti per fermare gli italiani. Selassie sperava che l’arrivo della stagione delle piogge potesse ostacolare l’avanzata italiana e proteggere la capitale.

 

 

 

La Scelta Tattica della Battaglia Finale

Per questa battaglia finale, sarebbe stato più opportuno scegliere una zona che si trovasse molto vicina alla sede del quartier generale dell’imperatore, situata a Dessie. Quando le truppe italiane avanzarono in questa direzione tra il 20 e il 22 marzo, notarono che la zona era scarsamente presidiata dagli etiopi, il che avrebbe consentito un attacco sorpresa il 24 marzo. Questo attacco avrebbe avuto buone probabilità di successo, dato che gli italiani erano in netta superiorità numerica, con solo alcune migliaia di soldati etiopi contro 35.000 italiani.

Il Ritardo dell’Offensiva e l’Attacco a Sorpresa

Tuttavia, il piano venne ritardato a causa delle richieste di ulteriore tempo da parte degli alleati etiopi, alcuni dei quali potevano ormai dubitare delle prospettive di vittoria. La data dell’offensiva venne quindi spostata al 31 marzo, giorno di San Giorgio, tradizionalmente considerato favorevole per le battaglie. Tuttavia, quando gli etiopi lanciarono il loro attacco il 31 marzo, gli italiani avevano aumentato le proprie forze a 40.000 uomini e si erano fortificati, avendo anche notizie dell’attacco imminente degli etiopi.

L’Attacco Etiope La battaglia di Mai Ceu

L’attacco etiope venne respinto con successo dagli italiani, anche se le forze d’élite etiopi furono ferocemente ostacolate dagli Ascari italiani. La giornata si concluse con un elevato numero di perdite da entrambe le parti, ma gli etiopi furono costretti a ritirarsi. Senza un esercito e con poche speranze di vittoria, Selassie fece ritorno verso la capitale,  Adis Abeba, il 30 aprile, e pochi giorni dopo partì in esilio verso il Regno Unito, da dove lanciò appelli alla Società delle Nazioni per cercare di fermare l’Italia

Starace e la “Buffonata” di Gondar

Nel frattempo, durante la battaglia di Mai Ceu, i giornali italiani avevano principalmente enfatizzato un’altra impresa condotta da Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista, che aveva deciso di arruolarsi come volontario nelle forze impegnate in Etiopia. Questa avanzata verso Gondar era avvenuta contemporaneamente alla battaglia di Mai Ceu . Starace aveva cercato di ottenere il merito per l’occupazione di Gondar, ma in realtà era stato Badoglio a guidare le operazioni con l’appoggio aereo e pagando  i Ras locali per evitare che il segretario del partito Fascista  riportasse anche un solo graffio. La conquista di Gondar fu un evento di poco rilievo strategico, poiché le principali forze etiopi erano concentrate altrove.

Gondar
Gondar

L’Occupazione di Addis Abeba e la Dichiarazione dell’Impero Italiano

La guerra in Etiopia si concluse quando, il 6 maggio 1936, le forze di Badoglio arrivarono alle porte di Addis Abeba, mentre la città era già nel caos a causa della violenza e dei saccheggi in seguito alla partenza dell’imperatore Selassie. Gli italiani occuparono la città e dichiararono l’occupazione dell’intera Etiopia, con Mussolini che annunciò la nascita dell’Impero Italiano.

Tuttavia, la gestione del vasto territorio etiope si rivelò complicata, e furono necessari molti sforzi per mantenere il controllo, con la resistenza etiope che sfuggì in gran parte al controllo italiano. Questo periodo fu caratterizzato da violenze e massacri.

La Conquista di Addis Abeba

Se la conquista di Addis Abeba,  infatti,era stata relativamente semplice grazie alle truppe comandate da Badoglio. Al momento dell’arrivo degli italiani, la città era praticamente abbandonata dalle truppe etiopi ed era vittima di violenze e saccheggi. L’imperatore Hailé Selassié si era rifugiato in Inghilterra e aveva fatto appelli  più volte la Società delle Nazioni affinché intervenisse per ripristinare la libertà dell’Etiopia. Tuttavia, la Società delle Nazioni aveva votato per sospendere le sanzioni contro l’Italia, e queste sanzioni non avevano avuto molto effetto a causa della mancata adesione di alcune nazioni e delle evasioni da parte di altre.

Il Compito di Controllo delle Campagne per l’Italia

L’Italia, d’altra parte, aveva problemi in Etiopia. La conquista delle principali città e delle vie di comunicazione era stata raggiunta grazie alle truppe locali, ma il controllo delle campagne era un compito molto più difficile. L’Etiopia è un paese vasto e la sua conquista richiedeva un approccio diverso. Il generale Graziani, nominato Viceré d’Etiopia nel giugno del 1936, si trovò di fronte a numerose sfide.

La Strategia di Italianizzazione Forzata

Prima di tutto, gli italiani non cercarono di negoziare con le popolazioni locali o di instaurare una forma di colonialismo più graduale. L’obiettivo era l’italianizzazione forzata dell’Etiopia, con l’intenzione di governare il paese come parte dell’Italia. Questo era un piano irrealistico, specialmente considerando l’ampio territorio e la densa popolazione etiope. Gli italiani non seguirono l’approccio tradizionale delle nazioni coloniali, che di solito prevedeva una transizione graduale verso il controllo coloniale.

La Nascita della Ribellione Etiopica

Molte armate di Selassie che non si erano arrese agli italiani e alcuni capi locali inizialmente neutri, ma successivamente influenzati dall’andamento degli eventi, si unirono alla ribellione. Questi leader, insieme alle loro milizie, diedero vita a una vera e propria rivolta che prese il nome degli ” Arbegnuoc“. Le rivolte di questo genere iniziarono sin dal 1936 e si scatenarono in molte zone.

tedros Arbegnuoc
Arbegnuoc, i patrioti

Tuttavia, fin dall’inizio, una delle aree più difficili in cui gli italiani trovarono difficile mantenere il controllo fu lo Shoah, la regione centrale dell’Etiopia che circondava la capitale, Addis Abeba. In particolare, uno dei capi più rispettati di questi “Arbegnuoc” era Abebe Aregai, che aveva precedentemente ricoperto la carica di capo della polizia di Addis Abeba, aveva iniziato ad organizzare delle bande . Dopo aver lasciato la capitale quando gli italiani vi entrarono, iniziò a organizzare bande di ribelli.

Il Signore delle Mosche

La Sfida nella Regione dello Shoah

Nel 1936, sfruttando il periodo delle piogge, quando gli italiani avevano difficoltà a muovere le loro truppe meccanizzate, Abebe Aregai e le sue truppe di Arbegnuoc cercarono di bloccare l’Italia . Alcuni leader di questi ribelli pensarono persino di organizzare delle colonne per marciare su Addis Abeba, sperando che la popolazione si sarebbe unita alla ribellione per scacciare gli italiani. Tuttavia, questo tentativo fallì, in parte a causa della risposta decisamente brutale di Graziani, che impiegò le sue truppe e l’aviazione, oltre all’uso di gas, per reprimere questi tentativi di formare grandi eserciti di ribelli.

shoah

Repressione Brutale: La Risposta di Graziani

Tra il 1936 e il 1937, Graziani guidò le sue truppe e i suoi comandanti nell’opprimente ribellione, sebbene il numero delle sue forze si riducesse progressivamente. L’Italia repatriò una parte significativa dei suoi nazionali, sia per dimostrare che la guerra era finita, sia per ridurre i costi di mantenimento delle forze occupanti, che erano stati estremamente elevati

L’Uso dei Gas e la Difficile Repressione

L’uso di gas venne intensificato per bloccare i tentativi di creare formazioni di ribelli e in qualche modo riuscì a rallentare la ribellione tra il 1936 e il 1937. Graziani continuò a lanciare le sue truppe contro i ribelli e i loro comandanti, ma progressivamente il numero delle truppe italiane diminuì. Questo avvenne principalmente perché l’Italia stava repatriando molti dei suoi soldati. Questo era in parte dovuto alla necessità di dimostrare che la guerra era finita, ma anche per cercare di ridurre i costi di mantenimento della colonia.

Repressione Brutale: La Risposta di Graziani

Con il declino delle truppe italiane sul campo, Graziani non cercò in alcun modo di ridurre la sua politica repressiva. Tra il 1936 e il 1937, la repressione continuò e divenne sempre più brutale. Le truppe italiane commisero un gran numero di massacri, in parte a causa del tipo di guerriglia praticato dagli etiopi. Spesso i capi ribelli avevano a loro disposizione gruppi di 100-200 guerrieri (e talvolta un massimo di 1400) che li seguivano durante tutto l’anno. Quando dovevano attaccare avamposti isolati o colonne italiane o tagliare le linee di rifornimento, reclutavano ulteriori truppe tra i villaggi locali, che quasi sempre li appoggiavano.

L’Importanza di Conoscere Questo Capitolo Oscuro della Storia

Di conseguenza, gli italiani giustificarono gli attacchi ai villaggi e la loro distruzione. È importante notare che esistono immagini di questa brutale repressione: mostrano morti, persone decapitate, soldati italiani che esibiscono le teste, fosse comuni piene di corpi di donne, anziani e bambini massacrati, impiccagioni  Sono immagini terribili che dovremmo conoscere per comprendere appieno la storia.

 

Il Massacro di Addis Abeba

Uno degli eventi più terribili di questa repressione fu il cosiddetto massacro di Addis Abeba, avvenuto tra il 19 e il 21 febbraio del 1937. Tutto ciò ebbe inizio con un tentativo di Graziani, che potremmo definire tardivo, di cercare in qualche modo di guadagnarsi la simpatia della popolazione di Addis Abeba. Si era reso conto che, in realtà, la popolazione sosteneva principalmente i ribelli. Pertanto, Graziani decise di sfruttare una festività locale, in cui era tradizione che il sovrano donasse monete d’argento ai poveri. Questo gesto fu unito a una celebrazione più laica, poiché era stato da poco celebrato il birthstone del giovane Vittorio Emanuele, figlio di Umberto e nipote di Vittorio Emanuele III (il quale non divenne mai sovrano ed è tutt’ora vivo, noto come il padre di Emanuele Filiberto, il ballerino).

Graziani e il Tentativo di Guadagnarsi il Favoure Locale

Graziani decise di raddoppiare l’importo delle monete rispetto a quanto fatto da Selassie in passato. Quando vennero aperti i cancelli del Parco del piccolo Gabi, che era stato trasformato in una sorta di residenza governativa, vi si presentarono numerosi mendicanti provenienti da tutta Addis Abeba: uomini, donne, anziani, bambini, malati e storpi. Tra di loro, vi erano anche circa 200-250 nobili e notabili etiopi che avevano scelto di accettare il dominio italiano e potevano essere considerati alleati del governo.

L’Attentato e le Ferite di Graziani

Tuttavia, circa un’ora dopo l’inizio della celebrazione, improvvisamente, due uomini si avvicinarono ai gradini del palazzo, dove si trovavano i notabili e, tra di essi, lo stesso Graziani. Questi due uomini erano studenti e, una volta giunti vicino al gruppo, lanciarono tre granate. Le prime due mancarono il bersaglio e non causarono danni, ma la terza esplose proprio di fronte al gruppo di notabili, causando sette morti e cinquanta feriti. Tra questi feriti c’era anche lo stesso Graziani, che fu colpito alle gambe da schegge di granata e fu immediatamente trasportato in ospedale, dove venne operato d’urgenza. Fortunatamente, le ferite non furono particolarmente gravi, ma Graziani portò le cicatrici come segni delle ferite subite.

Scoppia il Massacro: Gli Efferati Giorni Seguenti

Mentre Graziani era ancora in ospedale, iniziò il massacro. Le truppe italiane chiusero i cancelli del parco e iniziarono a sparare indiscriminatamente contro tutti gli etiopi, considerandoli potenziali alleati degli attentatori. Gli attentatori, però, erano riusciti a fuggire e avevano seguito una via di fuga prestabilita che li portò fuori dalla città, dove si unirono alla resistenza e successivamente fuggirono in Sudan, dove morirono in circostanze misteriose. Tuttavia, agli italiani non importava minimamente della sorte degli attentatori e proseguirono il massacro.

La Caccia Senza Pietà agli Etiopi

Nelle due giornate successive, squadre di soldati italiani, miliziani delle Camice Nere, soldati eritrei come  gli Ascari e cittadini italiani si unirono e cominciarono a cacciare gli etiopi per le strade di Addis Abeba. Ogni etiope che incontravano veniva attaccato, anche se avesse solo un piccolo coltello per tagliare il pane. Se sussistevano sospetti riguardo al sostegno ai ribelli, venivano uccisi sul posto. In alcuni casi, interi villaggi furono bruciati e le persone che cercavano di sfuggire furono colpite da granate o uccise a colpi d’arma da fuoco. Molti etiopi vennero torturati per ottenere informazioni sugli attentatori, anche se questi ultimi erano già fuggiti. Anche dopo aver ricevuto conferma della fuga degli attentatori, la strage non si arrestò e proseguì per altri due giorni.

Stime delle Vittime: Le Diverse Narrazioni

Quanti furono i morti in questo massacro? Le autorità italiane affermarono che furono al massimo mille o dodicimila, affermando che erano stati accuratamente selezionati e giustiziati solo dopo aver verificato il loro coinvolgimento con i ribelli etiopi. Tuttavia, secondo le stime attuali, le vittime furono circa 30.000, un numero enorme, come riferito da fonti storiche.
Oggi si stima che il numero di morti durante il massacro di Addis Abeba sia stato di 30.000, un dato ritenuto estremamente elevato da molte fonti storiche. Tuttavia, gli storici contemporanei stimano che il numero reale si attesti tra i tre e i sei mila morti, a seconda delle fonti. Questi numeri rimangono comunque molto alti.

Gli Attentatori e l’Assenza di Organizzazione

La complessità di questa tragedia risiede anche nel fatto che gli attentatori responsabili dell’attacco erano soltanto due e sembravano operare senza una vera e propria organizzazione. Questo aspetto risultò particolarmente frustrante per gli italiani, poiché dimostrava l’inefficacia del loro servizio d’ordine e il loro scarso controllo sulla città. Questa mancanza di controllo era confermata anche dalle fonti dell’epoca, tanto che la maggior parte dei presidi italiani non aveva nemmeno un traduttore per comunicare con la popolazione locale. Ciò rifletteva un generale disinteresse per le esigenze locali.

Il Massacro e la Repressione

Il massacro servì anche a un altro scopo: a un certo punto, su ordine di Roma, fu diretto contro l’intellighenzia etiope. Vennero attaccati soldati, ex ufficiali dell’esercito e tutti coloro che avevano ricevuto un’istruzione. Molti di loro furono uccisi o catturati e deportati in campi di concentramento. Tali campi furono creati appositamente per questa occasione e si trovavano nel Logaden, una zona più a sud al confine con la Somalia, nonché in alcune isole nel Mar Rosso. Alcuni di quelli di livello più alto furono addirittura deportati in Italia, mentre altri finirono sull’Isola dell’Asinara.

Campi di Concentramento e Deportazioni

Gli italiani cercarono in tutti i modi di decapitare l’Étiopia, privandola dei suoi leader e di coloro che avrebbero potuto contribuire a organizzare un nuovo governo e resistere alla ribellione. Da questo punto in poi, sebbene i massacri fossero già stati perpetrati, aumentarono ulteriormente per ordine di Graziani. Gli attacchi si rivolsero sempre di più alla popolazione, e ciò che era stato fatto ad Addis Abeba fu ripetuto in altre parti dell’Étiopia. Addirittura, si iniziò a prendere di mira, catturare ed eliminare i cantastorie, coloro che tramandavano le tradizioni e le leggende etiopi di villaggio in villaggio.

Attacchi alle Tradizioni e alla Cultura Etiope

Nemmeno i religiosi, i monasteri e le chiese furono risparmiati da questi attacchi. Al contrario, divennero obiettivi privilegiati poiché spesso offrivano rifugio e sostegno ai ribelli. Inoltre, le chiese custodivano molti oggetti preziosi che diventarono bottino di guerra e finirono in Italia. Sebbene avessero dovuto essere restituiti dopo la Seconda Guerra Mondiale, la maggior parte di essi non tornò mai più in Étiopia.

L’Attacco a Debra Libanòs

Debra Libanòs
Debra Libanòs

Il 19 maggio 1937, su ordine di Graziani, fu attaccato uno dei monasteri più importanti dell’Étiopia, il monastero di Debra Libanòs, situato nella zona dello Shoah, al centro dell’Étiopia. L’attacco fu motivato dalla sospetta connessione del monastero con due attentatori che avevano cercato di uccidere Graziani. Sebbene i due attentatori avessero solo fatto una breve sosta temporanea al monastero, Graziani interpretò questo fatto come una prova del coinvolgimento del monastero nella ribellione. Le forze italiane circondarono il monastero il 19 maggio 1937 e due giorni dopo selezionarono i monaci rispetto ai pellegrini di passaggio e ai laici.

Circa 300 monaci e 397 diaconi furono portati in una valle vicina e giustiziati.

Successivamente, gli italiani tornarono al monastero, portando con sé altri 129 diaconi, che subirono la stessa sorte. Le fonti italiane stimano che il numero totale di morti sia stato di circa 4209. Tuttavia, in seguito agli scavi, è emersa la presenza di fosse comuni, il che potrebbe aumentare il numero di morti a oltre 1500. Questo fa sospettare che gli italiani non fecero alcuna distinzione e decisero di eliminare tutti coloro che si trovavano nel monastero, sia come segno di avvertimento che per cancellare il ricordo di quanto avevano commesso.

Ripresa delle Rivolte e Rimozione di Graziani

Nonostante questa brutalità, quando iniziò la stagione delle piogge nel 1937, le rivolte ripresero. Anche Graziani, che in quel momento si trovava in viaggio ad Asmara e aveva più volte dichiarato che la situazione era sotto controllo e che l’Étiopia era pronta per essere assegnata ai coloni italiani
Nel 1937, Graziani venne sostituito da Amedeo Duca d’Aosta come Viceré d’Etiopia. Duca d’Aosta mantenne questa carica fino a quando l’Africa Orientale Italiana non fu conquistata dagli inglesi. Durante il suo mandato, cercò di apportare alcune modifiche alle politiche italiane in Etiopia. Tuttavia, accettò che alcune zone dell’Etiopia sfuggissero al controllo italiano e cercò di negoziare con i capi locali. Purtroppo, i risultati di questi sforzi furono modesti, considerando gli eventi degli anni precedenti.

 Amedeo duca D'Aosta
Amedeo duca D’Aosta

Tensioni Persistono: La Lotta Continua

Le tensioni persistettero, e la lotta tra gli italiani e gli etiopi continuò fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Quando la guerra iniziò, le truppe italiane continuarono a combattere le rivolte locali anziché impegnarsi nella guerra internazionale. Questo portò a situazioni difficili, come blocchi delle rotte commerciali tra Addis Abeba e l’Eritrea, isolando la capitale.
Nonostante il comune equivoco che la guerra in Etiopia fosse terminata nel 1936 con la conquista di Addis Abeba, in realtà, perdurò fino a quando gli inglesi riconquistarono l’Etiopia. Durante tutto questo periodo, la ribellione non si placò.

La Creazione della Colonizzazione in Etiopia

Oltre ai conflitti armati, gli italiani avevano l’arduo compito di creare una nuova colonia, l’Africa Orientale Italiana, unendo le vecchie colonie dell’Eritrea e della Somalia alle nuove acquisizioni etiopi. Questo tentativo coinvolse la costruzione di nuove infrastrutture, tra cui strade, ferrovie e aeroporti, per facilitare il controllo del territorio e il movimento delle truppe.

Sfide dell’Immigrazione Italiana in Etiopia

Inoltre, l’Italia cercò di promuovere l’immigrazione italiana in Etiopia. Tuttavia, questo progetto si rivelò difficile da realizzare. Nonostante l’obiettivo di far emigrare oltre un milione di italiani in Etiopia, solo circa 140.000 italiani si trasferirono effettivamente, gran parte dei quali erano tecnici, costruttori o soldati. Questo fu dovuto a una serie di sfide, tra cui le difficoltà del terreno e le continue rivolte locali.
La colonia dell’Africa Orientale Italiana non fu mai economicamente autonoma. Dovevano essere inviate risorse e denaro dall’Italia, e la popolazione italiana nelle città continuava a dipendere da tali rifornimenti. Nel 1940, l’Etiopia era ancora una terra contesa, lontana dall’essere una colonia stabile e pacificata.

L’Isolamento e la Seconda Guerra Mondiale

Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, l’Africa Orientale Italiana si trovò isolata, poiché la chiusura del Canale di Suez rese impossibile il trasporto di rifornimenti significativi. Nonostante i tentativi iniziali di combattere contro gli inglesi, le forze italiane furono presto sconfitte. La battaglia di Caren e la caduta dell’Amba Alagi segnarono la fine del sogno coloniale italiano.

Le Conseguenze Economiche e Militari

Questa guerra ebbe conseguenze drammatiche per l’Italia, non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di modernizzazione dell’esercito. L’Etiopia subì altrettante perdite significative durante questi anni di repressione, con stime che parlano di centinaia di migliaia di morti, tra cui esecuzioni e vittime nei campi di concentramento.

Impatto Duraturo sulla Storia dell’Etiopia

Questi eventi ebbero un impatto duraturo sull’Etiopia e sulla memoria storica del paese, con molti monumenti dedicati a commemorare le vittime e la resistenza durante questo periodo oscuro. È importante ricordare che la storia è complessa e spesso piena di sfumature, e questi eventi gettano luce su un capitolo oscuro delle relazioni tra Italia ed Etiopia.

 
Yekatit monumento commemorativo della strage di Addis
Yekatit monumento commemorativo della strage di Addis

La Complessa Storia del Controllo delle Colonie Italiane dopo la Seconda Guerra Mondiale

 

È innegabile che la maggior parte di voi potrebbe supporre che la situazione delle colonie italiane fosse risolta quando gli Alleati le conquistarono durante la Seconda Guerra Mondiale, e l’Italia le perse al tavolio di pace. Ma questa affermazione apparentemente semplice nasconde un intricato mondo di complessità. Fino al 1949, il governo italiano si adoperò strenuamente per mantenere il controllo su almeno una parte delle colonie. Ciò comportò un impegno significativo nella politica estera e persino vivaci dispute politiche interne. Sorprendentemente, praticamente tutti i partiti rappresentati in Parlamento, compresi quelli di orientamento progressista, avevano come obiettivo il mantenimento di alcune colonie. Questa vicenda rivela come la diplomazia sia spesso molto più intricata di quanto possa sembrare.

La Fine delle Colonie durante la Seconda Guerra Mondiale

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia perse gradualmente il controllo delle sue colonie. La prima ad essere persa fu l’Africa Orientale Italiana, che comprendeva l’Eritrea, la Somalia e l’Etiopia. Questi territori passarono sotto il controllo britannico e, nel caso dell’Etiopia, tornò a essere uno stato autonomo quando le forze alleate arrivarono ad Addis Abeba e il Negus Hailé Selassié tornò al potere nel 1941.

La Complessità della Situazione

Dopo il 1944-1945, i governi italiani iniziarono a discutere il destino delle altre colonie. L’Italia aveva sperato che il cambiamento di alleanza dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 potesse portare a condizioni meno severe alla fine della guerra. Ci furono discussioni sia in politica interna che nella diplomazia estera riguardo al mantenimento delle colonie.

Differenziazione tra Colonie del Regno e Colonie del Fascismo

Una delle argomentazioni principali avanzate da molti esponenti politici italiani era la differenza tra le “colonie del Regno d’Italia” (come la Libia, l’Eritrea e la Somalia) e le “colonie del Fascismo” (come l’Etiopia). Si sostenne che le prime erano state acquisite legalmente attraverso trattati di pace e che l’Italia aveva fatto investimenti significativi in queste regioni, contribuendo al loro sviluppo.

Considerazioni Economiche

Un altro argomento era di natura economica. Si affermava che mantenere le colonie avrebbe aiutato l’Italia nella sua ricostruzione economica postbellica. Tuttavia, questa affermazione era contestata da molti economisti che ritenevano che le colonie fossero una spesa più che un guadagno per l’Italia.

Protezione delle Popolazioni Locali

Alcuni sostenevano che il mantenimento delle colonie avrebbe garantito la protezione delle popolazioni locali, compresi gli italiani che vi erano emigrati. Si sottolineava la necessità di garantire la loro libertà e la possibilità di rimanere dove avevano stabilito la loro casa.
In realtà, questa situazione era complessa e coinvolgeva discussioni sia in Italia che nella comunità internazionale. L’Italia cercò in vari modi di mantenere il controllo di almeno una parte delle colonie, ma alla fine, la maggior parte delle colonie fu persa al tavolo della pace

Le Complesse Trattative per il Futuro delle Colonie Italiane dopo la Seconda Guerra Mondiale

Nel 1945, l’Italia sosteneva fermamente il concetto di “dominio diretto” sulle sue colonie, ovvero intendeva mantenere il pieno controllo su di esse. Tuttavia, gli Alleati avevano iniziato a discutere un approccio diverso: l’idea di un “amministrazione fiduciaria”.

Cos’è l’Amministrazione Fiduciaria?

L’idea di un’amministrazione fiduciaria implicava che un territorio precedentemente coloniale, privo delle strutture necessarie per diventare uno Stato autonomo, potesse essere temporaneamente affidato a un altro stato. Quest’ultimo avrebbe avuto il compito di aiutare a sviluppare le infrastrutture e le istituzioni mancanti in quel territorio entro un periodo determinato e, alla fine di questo periodo, avrebbe dovuto garantire la piena indipendenza al nuovo stato. È importante tenere a mente queste due diverse visioni: dominio diretto e amministrazione fiduciaria.

Richieste per il Mantenimento delle Colonie

Nel 1945, numerose richieste provenivano da esponenti politici italiani. Lettere, articoli e discussioni facevano pressione affinché l’Italia mantenesse almeno alcune delle colonie. Si faceva distinzione tra le “colonie del Regno d’Italia” (come la Libia, l’Eritrea e la Somalia) e le “colonie del Fascismo” (come l’Etiopia). Si affermava che le prime erano state acquisite legalmente attraverso trattati di pace e che l’Italia aveva investito significativamente in queste regioni, contribuendo al loro sviluppo.

Considerazioni Economiche

Un altro argomento era di natura economica. Si sosteneva che mantenere le colonie avrebbe aiutato l’Italia nella sua ricostruzione economica postbellica, ma questa affermazione era dibattuta da molti economisti che ritenevano che le colonie fossero più un onere che un vantaggio per l’Italia.

Protezione delle Popolazioni Locali

Si sosteneva anche che il mantenimento delle colonie avrebbe garantito la protezione delle popolazioni locali, compresi gli italiani che vi erano emigrati. Si sottolineava la necessità di garantire la loro libertà e la possibilità di rimanere dove avevano stabilito la loro casa.
Tuttavia, queste richieste e discussioni non erano ben accolte all’estero, soprattutto dagli Alleati. Gli alleati avevano posizioni divergenti sulla questione. L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti erano generalmente favorevoli a supportare il cammino verso l’indipendenza delle colonie, mentre la Francia e il Regno Unito temevano che ciò potesse minacciare i loro vasti imperi coloniali.

Ferruccio Parri
Ferruccio Parri

Le Complesse Richieste e Discussioni sull’Avvenire delle Colonie Italiane nel 1945

Nel 1945, numerose richieste provenivano da influenti esponenti politici. Abbiamo documenti di lettere e articoli inviati, tra gli altri, dal Presidente del Consiglio Parri, dal Ministro degli Esteri De Gasperi della Democrazia Cristiana e persino da figure di sinistra, come Pietro Nenni, che si pronunciò a favore del mantenimento delle colonie. È importante notare che, a differenza di molti altri, Nenni non occultò le atrocità commesse dall’Italia durante la conquista delle colonie, menzionando il generale Graziani come uno dei responsabili di tali atti. Questi richiami alla violenza durante il periodo coloniale non erano ben visti all’estero.

Pietro Nenni
Pietro Nenni

Mancanza di Accettazione all’Estero

Le richieste italiane di mantenere le colonie non godevano di grande sostegno all’estero, anche perché il discorso italiano tendeva a sottolineare solo gli aspetti positivi della colonizzazione, tralasciando quelli negativi. Il governo cercò di scaricare la responsabilità delle atrocità commesse durante la conquista delle colonie sul Fascismo e su Mussolini, sostenendo che queste azioni erano da attribuire alle decisioni del governo fascista. Tuttavia, poiché il regime fascista era ormai caduto e Mussolini era morto, tale argomento non fu accolto positivamente dagli Alleati.

Alcide De Gasperi
Alcide De Gasperi

Posizioni Divergenti tra gli Alleati

Nel 1945, durante la conferenza di Potsdam, emerse una chiara spaccatura tra gli Alleati riguardo al futuro delle colonie italiane. Le quattro principali potenze vincitrici – Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Unione Sovietica – avevano posizioni divergenti. Mentre Stati Uniti e Unione Sovietica erano favorevoli a sostenere il cammino verso l’indipendenza delle colonie, Regno Unito e Francia erano più restii. Ad esempio, il Regno Unito propose di suddividere la Libia in tre parti, mantenendo invariata la situazione coloniale della Tripolitania. La Francia era più aperta alla possibilità di coinvolgere l’Italia in una soluzione, mentre l’Unione Sovietica avanzò proposte che non furono accettate dagli altri Alleati.

Complessità delle Discussioni

Queste divergenze contribuirono a creare una mancanza di accordo e portarono alla decisione di rinviare la questione delle colonie italiane all’elaborazione del trattato di pace. Ciò dimostra quanto fosse complessa e politicamente delicata la questione riguardante il futuro delle colonie italiane dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Le Divergenze tra gli Alleati sull’Avvenire delle Colonie Italiane

Nel 1945, in Inghilterra, vennero avanzate diverse proposte per il futuro delle colonie italiane. Inizialmente, il Regno Unito propose di suddividere la Libia in tre parti, mantenendo l’attuale configurazione coloniale. Per l’Eritrea, si suggerì una divisione tra due stati vicini: la parte settentrionale sarebbe andata al Sudan, mentre la parte centrale-meridionale sarebbe stata assegnata all’Etiopia, permettendole così l’accesso al mare. La Somalia, invece, sarebbe diventata un’amministrazione fiduciaria sotto il controllo britannico, unificando così la Somalia britannica e quella italiana.

 

 

Le Divergenze tra gli Alleati

Le posizioni della Francia erano più concilianti nei confronti dell’Italia e si avanzò una proposta in cui l’Italia avrebbe potuto ottenere un certo grado di amministrazione fiduciaria sulla Tripolitania. Tuttavia, i sovietici fecero intendere la loro disponibilità a gestire direttamente l’amministrazione fiduciaria della Tripolitania, suscitando preoccupazioni tra gli altri Alleati, che non volevano coinvolgere i sovietici in Africa.

La Conferenza di Pace del 1946 a Parigi

Tuttavia, tutte queste discussioni non giunsero a una conclusione definitiva, portando alla decisione di rimandare la questione delle colonie italiane alla fase successiva, ovvero la conferenza di pace. Questa conferenza si tenne nel luglio del 1946 a Parigi, ed era destinata a decidere il trattato di pace per le potenze dell’Asse, escludendo Germania e Giappone, che avrebbero trattato separatamente.

Il Ruolo di Alcide De Gasperi

L’Italia inviò alla conferenza il suo presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, che si era impegnato profondamente per cercare di ridurre le richieste degli Alleati riguardo alle colonie. L’Italia dovette affrontare fin dall’inizio l’articolo 17, che prevedeva la rinuncia totale dell’Italia alle colonie. Nonostante numerosi tentativi da parte degli italiani, tra cui anche il contributo di Bonomi, non riuscirono a ottenere il mantenimento delle colonie.

 

La Speranza Italiana nelle Nazioni Unite

La conferenza di pace, tuttavia, non riuscì a trovare una soluzione definitiva per il destino delle colonie italiane. Invece, fu deciso che sarebbe stata l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, appena fondata, a prendere una decisione su cosa fare di questi territori. L’Italia, nonostante la perdita delle colonie al tavolo della pace, nutrì speranze di recuperarle attraverso le Nazioni Unite, dimostrando abilità nella preparazione di un piano per la loro futura gestione.

Questi eventi rappresentarono un passaggio cruciale nella storia delle colonie italiane e sancirono il loro destino nelle mani delle Nazioni Unite.

Amministrazione Fiduciaria

Si stava, quindi,  discutendo dell’amministrazione fiduciaria e della commissione che avrebbe attraversato tutti i paesi. Tuttavia, si è notato che in nessuna di queste colonie c’erano ancora strutture adeguate che potessero permettere loro di diventare immediatamente autonome. Era quindi impensabile creare Stati autonomi in modo immediato, almeno secondo il loro giudizio. Sarebbe stato necessario un periodo di transizione di alcuni anni. In altre parole, la decisione non era stata ancora presa, e la palla tornava alle Nazioni Unite. Queste promettevano di riunirsi tra qualche mese per decidere come procedere.

 

Il Cambio di Posizione dell’Italia

L’Italia, tuttavia, sembrava aver cambiato posizione. Finalmente aveva deciso di fare un passo indietro, rendendosi conto che la posizione del dominio assoluto non era gradita a nessuno e rischiava di portare l’Italia in un vicolo cieco. L’Italia iniziò a discutere la possibilità di un’amministrazione fiduciaria, un’idea molto interessante. Inoltre, iniziarono a emergere ulteriori dettagli. Oltre ai primi tre punti, l’Italia propose anche un quarto punto: sosteneva che le popolazioni locali non avrebbero potuto trovare un miglior garante della loro ricchezza e libertà rispetto all’Italia, come aveva fatto in passato durante il periodo coloniale. Questo punto cercava di mettere da parte le violenze perpetrate in passato, ma aveva anche implicazioni politiche.

Negoziazioni con la Francia

A questo punto, l’Italia iniziò a lavorare dietro le quinte, anziché limitarsi a presentare i suoi dossier alle Nazioni Unite (anche se continuò a farlo). Il Ministro degli Esteri Sforza, in particolare, cercò di negoziare con la Francia. La proposta prevedeva una Libia da mantenere come colonia italiana ma concedendo ampia autonomia. L’Eritrea sarebbe dovuta tornare ad essere autonoma, divisa con il Sudan che avrebbe preso il nord e l’Etiopia il sud, mentre Massawa e Asmara sarebbero rimaste sotto amministrazione italiana. La Somalia sarebbe passata sotto amministrazione fiduciaria italiana. I francesi sembravano favorevoli a questa proposta, poiché avevano ottenuto una parte del Fezzan libico.

Il Ministro degli Esteri Sforza,
Il Ministro degli Esteri Carlo Sforza

Tentativi di Negoziazione con il Regno Unito

Tuttavia, gli inglesi e gli Stati Uniti non erano d’accordo. Quando la proposta arrivò all’ONU, venne immediatamente bocciata nel maggio del 1949. Sforza non si arrese e cercò di negoziare con il Ministro degli Esteri britannico Bevin. Questa volta, l’Italia fece un ulteriore passo indietro. Accettò che la Libia potesse diventare uno Stato autonomo senza avanzare alcuna richiesta. L’Eritrea sarebbe dovuta diventare uno Stato autonomo senza annessioni territoriali, fatta eccezione per un piccolo sbocco al mare per l’Etiopia. L’Italia chiese che Asmara e Massawa mantenessero una certa autonomia per garantire le ristrutturazioni italiane in loco. L’Italia si riservò la possibilità di ottenere l’amministrazione fiduciaria della Somalia.Quando la notizia di questo accordo iniziò a circolare, scoppiò una serie di manifestazioni e proteste in varie zone delle colonie

L’Accordo Internazionale e le Reazioni in Italia

Però, anche in Italia, questo accordo era visto dall’altra parte come un tradimento, perché molti italiani pensavano che le colonie potessero essere mantenute completamente sotto il controllo italiano. Questo accordo era considerato una completa resa. Ci furono addirittura attacchi da parte parlamentare di sinistra contro il governo De Gasperi, accusandolo di abbandonare i lavoratori e i patrioti nelle colonie. Inoltre, molti stati protestarono vigorosamente, poiché le Nazioni Unite erano appena state fondate con l’idea di creare un’assemblea in cui tutti gli stati del mondo prendessero decisioni collettive. Tuttavia, dopo solo pochi anni, le potenze iniziarono a fare accordi privati fra di loro, togliendo completamente il potere all’assemblea. Di conseguenza, nonostante l’approvazione degli Stati Uniti, l’assemblea si divise nuovamente.

La Proposta Sforza/Bevin e la Sua Bocciatura

Il 17 maggio del 1949, quando si votò sulla proposta Sforza/Bevin, il risultato fu negativo, anche se per un solo voto. A questo punto, l’assemblea decise di cercare una nuova soluzione, che alla fine si trovò. Questa soluzione, però, differiva notevolmente dall’idea italiana.

La Ricerca di una Nuova Soluzione

Innanzitutto, l’Eritrea avrebbe mantenuto una parziale autonomia e sarebbe stata teoricamente inglobata all’interno dell’Etiopia. Avrebbe continuato ad essere un territorio autonomo, ma diventando dominio del Negus, il sovrano dell’Etiopia. Tuttavia, i due stati non sarebbero stati completamente annessi l’uno all’altro. L’unica colonia che rimase legata all’Italia fu la Somalia. Questo perché la Somalia non si era opposta fortemente all’idea e fu affidata all’Italia. Si decise che l’Italia avrebbe amministrato la Somalia in regime di fiducia per 10 anni, dal 1950 al 1960. Durante questo periodo, l’Italia avrebbe mantenuto una presenza in loco e avrebbe dovuto gradualmente creare un nuovo stato somalo che, nel 1960, avrebbe riconquistato la sua autonomia. In breve, delle molte richieste avanzate all’inizio, poco rimase, ma ciò portò comunque a ulteriori dieci anni di amministrazione italiana in una delle sue ultime colonie.

 

CONCLUSIONI

L’esposizione è stata estesa, tuttavia, ciò era fondamentale per evidenziare due aspetti significativi. In primo luogo, la storia delle colonie italiane nel Corno d’Africa rappresenta un elemento cruciale nel complesso mosaico che caratterizza l’attuale panorama geopolitico. In secondo luogo, va sottolineato come questa vicenda abbia lasciato un’impronta culturale che continua a riverberarsi nella vita di tutti i giorni, integrandosi nell’ordinario tessuto sociale.

Ad esempio, prendiamo la parola “L’ambaradan”, un termine giocoso che ci descrive un caos caotico e scomposto. Questa espressione trae origine da “Amba Aradam”, il  massiccio montuoso dell’Etiopia dove, nella storica battaglia del 1936, le truppe italiane riportarono una cruenta vittoria contro l’esercito abissino  .

 Un altro esempio è la canzone “Faccetta Nera”

 

In molti casi, coloro che mostrano un interesse o una simpatia per il periodo del ventennio fascista e potrebbero essere associati al vecchio partito fascista o considerati direttamente fascisti associanoa a quel periodo “Faccetta nera”.
Tuttavia, è interessante notare che questa canzone ha in realtà molto poco a che fare con il periodo fascista, non solo perché è stata scritta nel 1935, ma anche perché non solo non era gradita a Mussolini, che ha cercato in vari modi di farla scomparire, ma è stata addirittura censurata dallo stesso regime a causa del suo contenuto.
Questo è dovuto al fatto che il brano trattava un argomento delicato: la schiavitù in Etiopia. Quando fu scritta, l’Italia si stava preparando a invadere l’Etiopia, e uno dei motivi addotti dagli italiani per giustificare l’invasione era la presunta volontà di liberare gli etiopi dalla schiavitù.

In realtà, la schiavitù era ancora presente in Etiopia negli anni ’30, nonostante teoricamente lo stato italiano e l’Etiopia avessero firmato accordi che prevedevano l’abolizione della schiavitù. Sebbene fossero stati compiuti alcuni progressi nelle città principali, la schiavitù persisteva in gran parte del paese, così come in altre parti del mondo.

La propaganda fascista e italiana utilizzò questa giustificazione durante i mesi precedenti allo scoppio della guerra per preparare la popolazione all’idea che l’Italia stava combattendo una guerra non imperialista o di colonizzazione, ma piuttosto una guerra per portare la civiltà e porre fine alla schiavitù. Questo contesto storico ha portato alla creazione di opere d’arte, tra cui quadri, statue e canzoni, che celebravano questa missione civilizzatrice.

In sintesi, la canzone “Faccetta nera” è stata scritta in un periodo in cui l’Italia stava cercando di giustificare l’invasione dell’Etiopia sulla base dell’abolizione della schiavitù, ma è stata censurata dal regime fascista a causa della sua complessità e delle implicazioni politiche

Nel 1935, Renato Micheli, un poeta dialettale romanesco, scrisse la prima versione di “Faccetta nera”. Questa versione era in romanesco, non in italiano, ed era destinata a essere eseguita durante un festival locale di canzoni dialettali. Tuttavia, il festival scartò la canzone, quindi inizialmente essa non riscosse alcun successo.

Ma di cosa trattava questa canzone? Essa affrontava direttamente il tema della schiavitù, prevedendo che gli italiani sarebbero presto arrivati in Etiopia per liberare le donne etiopi dalla schiavitù. La canzone aveva una valenza duplice: da un lato, celebrava questa presunta opera meritoria, ma dall’altro alludeva anche al “madamato”, una pratica purtroppo diffusa, sia in Italia che nelle colonie, in cui molti italiani, tra cui soldati, tecnici e amministratori, prendevano donne etiopi come concubine.

Questa situazione era complessa, poiché alcune donne partecipavano consensualmente, mentre altre erano costrette o ingannate.

Alcuni italiani stipulavano matrimoni finti per ingannare queste donne, che credevano di diventare le mogli ufficiali, ma in realtà erano ingannate. Spesso, questi uomini avevano già una moglie in Italia e abbandonavano le donne etiopi una volta tornati nel loro paese. Non tutti seguivano questa pratica, ma era abbastanza diffusa.

Nonostante questa complessità, la canzone iniziò lentamente a circolare. Tuttavia, il suo successo crebbe notevolmente quando fu tradotta in italiano e cantata da Carlo Guidi. Questa nuova versione, quella che tutti conosciamo, divenne sempre più popolare, soprattutto grazie al teatro.

A Roma, in particolare, la canzone veniva eseguita in un piccolo spettacolo teatrale in cui una donna di colore, vestita di stracci e catene, rappresentava la schiavitù. In questa rappresentazione, un’altra donna vestita a simboleggiare l’Italia, armata di una spada, liberava la schiava e le consegnava una camicia nera, come recitava la canzone. Questa performance contribuì ulteriormente a diffondere la canzone.

La canzone attirò l’attenzione del regime fascista. Quando giunse alle orecchie dei ministeri competenti e del Duce Mussolini nessuno l’apprezzò fin dall’inizio.

Negli anni successivi alla sua composizione, il Ministero cercò più volte di bloccarne la diffusione, ma era praticamente impossibile. La canzone raggiunse i soldati che stavano partendo per l’Etiopia e iniziò a circolare tra la gente comune. Il Ministero cercò di intervenire, modificando persino una citazione della battaglia di Adua presente nella prima versione del testo. Tuttavia, la canzone aveva già radici profonde nella cultura popolare e le modifiche non riuscirono a fermarne la diffusione.

Nel gennaio del 1936, il Ministero tentò di creare una canzone concorrente chiamata “Faccetta bianca”, che raccontava la storia di una moglie italiana che vedeva partire il marito. Ma questa canzone ebbe molto meno successo rispetto a “Faccetta nera”.

Nel 1937, due anni dopo la sua composizione, il Ministero intervenne nuovamente poiché stavano emergendo leggi razziali. Era diventato inaccettabile che la canzone suggerisse che italiani ed etiopi potessero mischiarsi e che gli etiopi potessero diventare simili agli italiani sotto il regime fascista. Il Ministero creò una nuova versione della canzone, affermando che gli italiani avevano già liberato gli etiopi, ma questa versione ebbe scarso successo poiché la popolazione conosceva ormai solo la versione originale.

Nonostante tutti questi sforzi, la canzone sopravvisse e divenne un simbolo del fascismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, rimase nell’immaginario collettivo come un inno nostalgico, anche se fu respinta dal regime fascista. La sua persistenza ci ricorda come la percezione storica possa essere influenzata dalla narrazione e dalla memoria collettiva, oltre che dalla realtà storica stessa.

Infine, è importante ricordare che, più di ogni altra cosa, dovremmo riflettere su tutte le donne etiopi che hanno subito violenze e discriminazioni durante quel periodo, indipendentemente dal loro aspetto fisico. Sono state vittime di violenze, segregazioni e persino omicidi,

Comunque il percorso che ha portato alla formazione di nazioni come l’Etiopia, la Somalia e l’Eritrea è stato plasmato da una serie di eventi che risalgono a decenni e decenni fa, eppure i loro effetti si fanno sentire ancora oggi. Questa storia ci insegna che non possiamo comprendere appieno la situazione attuale senza esaminare attentamente il passato.

Inoltre, è fondamentale considerare la crescente globalizzazione e la competizione geopolitica tra le grandi potenze che stanno svolgendo un ruolo sempre più rilevante nella regione del Corno d’Africa. Tedros Adhanom Ghebreyesus, con la sua leadership all’OMS, è solo uno dei tanti attori che influenzano il futuro del mondo.

Nel contesto di queste forze globali in conflitto, la conoscenza della storia delle colonie italiane nel Corno d’Africa diventa ancora più preziosa. Ci ricorda che le nazioni e le regioni non esistono in isolamento, ma sono intrecciate in una rete complessa di influenze, relazioni e interessi. Mentre guardiamo al futuro, dobbiamo farlo con un occhio attento al passato, riconoscendo che le scelte fatte allora continuano a plasmare il presente e il domani di  ogni  regione del mondo in modo affascinante e complesso.

Nel prossimo articolo, ci immergeremo nella storia contemporanea per scoprire come la presidenza di Tedros Adhanom Ghebreyesus sia strettamente connessa agli interessi globali, in particolare quelli della Cina, nella regione del Corno d’Africa. Scopriremo che questa non è una semplice designazione, ma piuttosto un nodo cruciale che coinvolge non solo l’Etiopia, la Somalia e l’Eritrea, ma anche tutti gli stati che si affacciano sul Mar Rosso. In questo intricato mosaico geopolitico, troviamo le influenze delle superpotenze come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Arabia Saudita, e le tensioni nelle zone calde del mondo, come il Canale di Suez.Nel prossimo capitolo, esploreremo le dinamiche attuali che plasmano questa regione e cercheremo di capire perché il ruolo di Tedros Adhanom Ghebreyesus è tanto importante per la geopolitica mondiale quanto per il benessere delle nazioni del Corno d’Africa

 

 
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