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ARTE E MALATTIA
Sapere di non sapere è la cosa migliore. Fingere di sapere quando non si sa è una malattia. Lao Tzu
Nessun’essere umano percepisce il mondo nella stessa maniera, tutti noi abbiamo una percezione personale della realtà.
Questa percezione crea la nostra personale rappresentazione interna di quello che ci circonda condizionando il nostro modo di pensare e di agire.
Solitamente una quieta socialità prevede che tutti noi si scenda a compromessi tra la nostra visione del mondo e quella delle persone che ci stanno vicine.
Questi compromessi ci ci costringono a credere che se una cosa è vera per la maggioranza delle persone è vera anche per noi.
Questo è molto funzionale nel vivere sociale.
Ci evita inutili perdite di tempo per cui la domenica non si lavora, il pane è buono, il mare è blu ecc. Tutto va bene fino a quando noi ci conformiamo con quello che percepiscono gli altri, ma… c’è un ma
Ma se la nostra percezione del mondo cambia che cosa succede?
Non mi sto riferendo al fatto che “dopo anni di meditazione ho raggiunto l’illuminazione”. In questo caso si presume che abbia acquisito la saggezza necessaria per aver rispetto e comprensione per la visione degli altri. Nemmeno mi riferisco al fatto che “sono stata travolta da una passionale storia d’amore”, in questo caso poco m’importa degli altri perché la mia visione si accorda solo con un unica persona e solo questo m’interessa.
Mi sto riferendo a qualcosa di più drammatico e destabilizzante, mi sto riferendo a qualcosa che mette in gioco la nostra vita, la nostra integrità, mi riferisco alla malattia.
Quando una persona si ammala, la percezione del mondo cambia e la mediazione tra quello che essa percepisce e si rappresenta diventa inconciliabile con quello che percepisce e si rappresenta il resto del mondo.
Di sicuro vi siete accorti che la persona che conoscevano così bene è diventata irascibile, capricciosa e insopportabile?
Vi siete resi conto che nonostante i nostri sforzi per accontentarla in tutto questa persona si sente incompresa?
Avete notato che nonostante la nostra partecipazione sostiene che le persone non capiscono?
La risposta è che la sua visione del mondo è cambiata.
La malattia l’ha costretto a cambiare.
Per alcuni la malattia può essere una presa di coscienza che li fa approdare a una rielaborazione dei propri valori e li conduce verso la guarigione e la serenità, per altri può essere l’innesco di una spirale di autodistruzione.
Per quanto riguarda noi sani, almeno per ora, la domanda è; come possiamo calarci nella realtà di una persona malata?
Io penso che l’arte possa darci una mano.
L’opera d’arte suscita, in chi la guarda, sensazioni ed emozioni che sono presenti nell’artista e nel suo atto creativo. Ogni volta che guardiamo un’opera d’arte condividiamo le sensazioni e le emozioni di qualcun altro.
L’artista crea la sua opera combinando quello che percepisce con i propri sensi e la sua interpretazione del tutto personale e contingente al vissuto dell’ambiente esterno.
Una qualche patologia, toccando la parte fisica ed emozionale, può modificare sia la percezione del mondo sia l’utilizzo dei sensi, diventando parte integrante della sua opera.
Sorge quindi spontanea una domanda: un’opera d’arte sarebbe stata la stessa se l’artista non fosse stato malato?
Esaminare come cambiano le opere degli artisti “malati” può aiutare a evitare cervellotiche recensioni di critici logorroici e aprirci un varco verso una dimensione più umana dell’arte, ma soprattutto farci comprendere meglio lla malattia.
Bene guardiamo un po’ di artisti
Pierre-Auguste Renoir
Pierre-Auguste Renoir, pittore impressionista, era affetto da una dolorosissima e invalidante artrite reumatoide. Ai suoi tempi il cortisone non era ancora usato, perciò l’uso delle sue mani e delle sue braccia fu progressivamente limitato, tanto che dovette farsi legare il pennello alle mani-
Morì in sedia a rotelle non essendo più in grado di camminare. Secondo alcuni il suo stile fatto di pennellate improvvise, leggere, sognanti era dovuto alla sua malattia; comunque si può notare nelle sue opere un progressivo cambiamento non dovuto soltanto all’evolversi del suo stile.
Più fortunato di Renoir fu Raoul Dufy (1877-1953), anch’esso affetto da artrite reumatoide, poté usufruire del cortisone e a settantatré anni dipinse un vaso di fiori che intitolò “Cortisone”.
Bene per ora fermiamoci qui, ma non perdetevi la prossima puntata di arte e malattia scoprirete il segreto di cime un’ alterata percezione cambia la visione del mondo
e non dimenticate FGC FAI GIRARE LA CONOSCENZA Ora!
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